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Alla ricerca della (definizione di) qualità nel vino. Il lunedì 3D di Trimani tra degustazioni e dibattiti

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L’obiettivo era ovviamente molto ambizioso, ma almeno si guardava oltre. Il lunedì 3D di Trimani, la storica rivendita di via Goito a Roma divenuta ormai qualcosa di più tra distribuzione e wine bar, è iniziato infatti con il dibattito “Elaborare una definizione contemporanea di qualità per il vino, una discussione dopo le guide”. Nell’auditorium dello spazio WeGil sono saliti sul palco Paolo Trimani a fare da conduttore, insieme a Paula Prandini e Fabrizio Pagliardi per il “mercato”, Federico Staderini e Daniele Proietti per la “produzione”. Tra provocazioni e approfondimenti il discorso è virato subito sul fenomeno del “naturale”, con tutto quello che ad esso è collegato. Se da una parte si considera già il movimento come un qualcosa di “finito” (Prandini), per colpa di chi ci si è infilato maldestramente, che si tratti dell’industria o di alcuni produttori improvvisati, dall’altra si è tornati al problema centrale della mancanza di definizioni, parametri, cornici normative. Trattandosi di “movimento” è normale che non sia facilmente classificabile in rigide norme, il problema è appunto capire come però identificare cosa ne fa parte e cosa no. Qualcosa di non poco conto, soprattutto partendo dal dato citato, per esperienza diretta, da Pagliardi: “Gli under 35 bevono praticamente solo naturale, così come gli appassionati del nord Europa. Forse anche perché a differenza degli anni 90, quando nel mondo patinato del vino c’erano delle elite e dei vini normali, nel mondo naturale questa differenza non c’è. Si parla di vini interessanti, da bere, mentre qui per lungo tempo il vino è stato qualcosa di elitario“. Per Staderini si deve tornare al concetto di onestà, i suoi esempi hanno citato la “disciplina interna e interiore” di personaggi come Mario Incisa della Rocchetta o Emidio Pepe, concludendo: “chi fa le cose per bene e con onestà lo può con fierezza rappresentare“. Per Proietti il problema nasce proprio dalla presunta necessità di definizioni precise, così come il dibattito sulla questione etica: “in fondo alcuni regolamenti sono nati proprio per far emergere alcune scorciatoie“. Paula Prandini segna infine la visione che forse potremmo definire più ideologia: “è impossibile tracciare limiti etici o disciplinari, parliamo di un movimento di avanguardia e rivoluzione, siamo comunque andati avanti. L’unico modo di comunicare per i produttori è tramite il proprio lavoro“.

E qui torna lo snodo cruciale, ovvero come comunicare qualcosa che non ha cornici ma solo tanti singoli punti? Nel dibattito la questione è stata risolta segnalando come la stampa classica abbia sempre visto come qualcosa di negativo il mondo naturale – e può essere vero – e come ci sia stata molta confusione per esempio nella gestione di termini, e regolamenti, legati a pratiche come quelle biologiche da una parte e biodinamiche dall’altra. In realtà Fabrizio Pagliardi ha anche ribadito come sia necessaria una maggiore formazione del personale addetto al servizio del vino, per lui la base di partenza devono continuare ad essere i corsi, in particolare quelli da sommelier, strutturati secondo gli schemi classici: “importante e fondamentale è imparare il linguaggio base, per poi magari spingersi verso il naturale. Io non ho creato la cantina del mio locale pensando di voler vendere vino naturale, ho cominciato a scegliere quello che mi piaceva e alla fine mi sono accorto che avevo quasi tutti vini naturali“.

Tranne un intervento dal pubblico dal sapore di conventicola del tipo “io c’ero prima e quindi sono io che stabilisco chi può parlare e chi no“, il dibattito è stato importante sotto diversi punti di vista. Innanzitutto per il coraggio dimostrato da Paolo Trimani nell’infilarsi in un ginepraio simile, ma anche perché di fare questo tipo di analisi ce n’è sempre più bisogno, per crescere. Tra l’altro credo che sia stato evidenziato un dato di fatto con il quale dovremo fare i conti, la comunicazione è sicuramente mancata ma la colpa è (solo) dei giornalisti o dell’essenza stessa del movimento? Se infatti quello che c’è da raccontare non è un qualcosa di riconducibile a uno o più principi, o pratiche, ma un insieme di visioni diverse fatto del “lavoro del singolo”, come accennato sopra, potremo mai ridurlo ad un concetto univoco senza snaturarlo? Perché il giornalismo non può tener conto di “tutti” ma solo di “alcuni”, il giornalista può interpellare anche mille produttori ma poi deve – con senso critico e onestà – selezionare i più importanti per fornire un quadro comprensibile al lettore. Se non ci sono punti di riferimento condivisi in partenza questo lavoro di sintesi non solo diventa difficilissimo ma anche, per certi versi, arbitrario. Forse, ed è una riflessione personale ma che spero possa essere letta in positivo, chi fa vino naturale dovrebbe rendersi conto che non può confrontarsi direttamente con la stampa tradizionale, e quindi evitare anche di accusarla di non parlare del movimento, ma adeguarsi al suo essere libero e, quindi, affidarsi ad un sistema di informazione a sua volta multipunto. In questo le nuove tecnologie aiutano, dai blog a instagram ai podcast, per far diventare gli stessi produttori delle “fonti” di informazione. Potrebbe essere questo, insomma, il momento in cui il mondo naturale, confrontandosi e parlando liberamente, farà emergere i propri campioni, per i quali si apriranno anche le porte della stampa classica. O “di regime” come la definisce qualcuno. Gli esempi ci sono già, grandi personaggi del vino (forse più all’estero che in Italia) che pur essendo a tutti gli effetti dei “naturali” sono più che stimati anche dalla stampa di settore più tradizionale. D’altronde, ed è forse la cosa più scontata ma meno “detta”, ai massimi livelli dell’informazione enoica arriveranno solo i grandi produttori, quelli che hanno dimostrato di mettere nel bicchiere una qualità e una costanza tali da associare al proprio nome una idea di affidabilità così alta, che questa andrà a superare il fatto che siano “naturali”. Il che, per alcuni, è un controsenso. Anzi, per alcuni produttori anticonformisti a tutti i costi, il solo comparire su “certa stampa” è motivo di scandalo nel mondo naturale e, anche, di prova incontrovertibile che il produttore in questione tanto naturale non è… o sbaglio?

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E qui torna lo snodo cruciale, ovvero come comunicare qualcosa che non ha cornici ma solo tanti singoli punti? Nel dibattito la questione è stata risolta segnalando come la stampa classica abbia sempre visto come qualcosa di negativo il mondo naturale – e può essere vero – e come ci sia stata molta confusione per esempio nella gestione di termini, e regolamenti, legati a pratiche come quelle biologiche da una parte e biodinamiche dall’altra. In realtà Fabrizio Pagliardi ha anche ribadito come sia necessaria una maggiore formazione del personale addetto al servizio del vino, per lui la base di partenza devono continuare ad essere i corsi, in particolare quelli da sommelier, strutturati secondo gli schemi classici: “importante e fondamentale è imparare il linguaggio base, per poi magari spingersi verso il naturale. Io non ho creato la cantina del mio locale pensando di voler vendere vino naturale, ho cominciato a scegliere quello che mi piaceva e alla fine mi sono accorto che avevo quasi tutti vini naturali“.

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