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Bitcoin e paradisi fiscali

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Buongiorno, oggi e martedì 21 giugno 2021, io sono Roberto e questo è “Indizi di futuro” il podcast che indaga il presente per immaginare come sarà il domani. Ogni mattina alcune notizie apparse sui principali quotidiani, si trasformano in una scintilla che accende un faro sul divenire della nostra società. In realtà tax haven significa rifugio fiscale, ma la somiglianza di haven la parola rifugio con la parola heaven che significa invece paradiso, ha probabilmente prodotto questo modo di chiamare quei paesi dove la tassazione è molto conveniente rispetto al paese di origine del contribuente, o addirittura la tassazione non esiste. Inoltre la burocrazia è scarsa o assente, ed infine il segreto bancario è assoluto, e quindi le transazioni prive di alcun controllo. Ovviamente tali luoghi sono una calamita per le sedi delle multinazionali e per le associazioni criminali, e altrettanto ovviamente sono un danno economico importante per i paesi dai quali i capitali fuggono alla tassazione. Per questi motivi la concorrenza fiscale dannosa nel corso degli anni è stata combattuta ed è di conseguenza divenuto sempre più difficile fruire di tali vantaggi, poi ogni paradiso fiscale si è specializzato in una sua propria area di servizi, ma in questi ultimi anni qualcosa è accaduto, così come la tecnologia ha invaso ogni settore, anche quello dell’evasione e dell’elusione finanziaria ha trovato le sue frequentazioni. Queste si chiamano ad esempio criptovalute, e risiedono nel Cyber spazio, dove vengono scambiate peer ti peer, ovvero senza l’intermediazione di una banca, e quindi sfuggono ai controlli. Almeno così credevo, ma in questi ultimi giorni ho letto diversi articoli sulle operazioni definite ramsonware, ovvero quei “sequestri” digitali di apparati critici per grandi aziende, capaci di bloccare l’operato delle stesse a meno che non venga pagato un riscatto. Tale riscatto è stato chiesto negli ultimi casi più eclatanti, e mi riferisco ad esempio all’americana Colonial pipeline da parte del gruppo di hacker di Darkside, in Bitcoin, ma con mia sorpresa buona parte dei denari pagati agli hacker, quasi tutti, sono stati recuperati. L’FBI infatti è riuscita a tracciare i Bitcoin, e d’altro canto consultando la blockchain tutte le operazioni sono pubbliche e condivise. Oltretutto esiste un sistema attraverso il quale tutti i bitcoin rubati possono essere segnati come tali, e quindi non spendibili. Altra cosa invece l’anonimato, per il quale è forte ancora la possibilità, specie per piccolo cifre, di riuscire a mantenerlo, anche se il portafoglio, wallet, in cui vengono serbati i bitcoin può venire identificato, questo non vuol dire che si possa sapere dichi sia, ma visto come è andata l’operazione con la Colonial Pipelin si suppone che qualche modo sia stato trovato dall’FBI, modo però che a noi non è dato sapere. La lotta fra il bene e il male, non pare abbia comunque fine e comunque i ramsonware, che parevano il male del secolo a venire, pare abbiano perso molto del loro senso, ma questo non vuol dire che prendere in scacco il software che gestisce ad esempio una diga, non possa essere un atto di terrorismo di proporzioni epiche. Quindi stiamo più in guardia che mai, il terrore corre sulla rete. A domani
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