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La democrazia bastonata: storia di Tahla, che credeva nell'articolo 1

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Si chiama Tahla, ha 22 anni, e la sua colpa è stata quella di bussare alla porta di un sindacato. Nel 2024, nel cuore della Toscana felix, nell'Italia che si vanta di essere una Repubblica democratica fondata sul lavoro, un ragazzo viene pestato a bastonate per aver osato alzare la testa. Non fa rumore, non diventa una storia nazionale, non merita i titoloni dei giornali perché siamo assuefatti alla barbarie.
Quarrata, provincia di Prato. Turni di 12-14 ore, lavoro nero, caporalato: fotografia di una modernità che si misura in fatturato ma non in diritti. Tahla viene convocato dopo aver parlato con il sindacato Sudd Cobas: "Sappiamo che sei stato al sindacato", gli dicono. Poi partono i bastoni.
È la stessa zona dove appena due settimane fa altri quattro lavoratori sono stati vittime di una spedizione punitiva durante un picchetto. Non sono coincidenze: è un sistema che si nutre di paura e omertà, che prospera nell'indifferenza generale e nella retorica del "piccolo è bello" che spesso nasconde il marcio.
La prognosi dice sette giorni, ma la ferita è molto più profonda: è uno sfregio alla Costituzione, è il fallimento di uno Stato che non riesce a proteggere chi lavora, è la vergogna di un Paese che si scopre ancora medievale nei rapporti di lavoro mentre si vanta di correre verso il futuro.
Tahla è pakistano, e anche questo non è un dettaglio: lo sfruttamento sa bene dove colpire, sceglie le sue vittime tra chi ha meno voce, tra chi può essere più facilmente zittito. Noi intanto scivoliamo via, distratti, assuefatti, complici.
In un Paese normale questa storia sarebbe uno scandalo nazionale. In Italia è solo cronaca locale. E questo, forse, è il vero scandalo.
#LaSveglia per La Notizia
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Si chiama Tahla, ha 22 anni, e la sua colpa è stata quella di bussare alla porta di un sindacato. Nel 2024, nel cuore della Toscana felix, nell'Italia che si vanta di essere una Repubblica democratica fondata sul lavoro, un ragazzo viene pestato a bastonate per aver osato alzare la testa. Non fa rumore, non diventa una storia nazionale, non merita i titoloni dei giornali perché siamo assuefatti alla barbarie.
Quarrata, provincia di Prato. Turni di 12-14 ore, lavoro nero, caporalato: fotografia di una modernità che si misura in fatturato ma non in diritti. Tahla viene convocato dopo aver parlato con il sindacato Sudd Cobas: "Sappiamo che sei stato al sindacato", gli dicono. Poi partono i bastoni.
È la stessa zona dove appena due settimane fa altri quattro lavoratori sono stati vittime di una spedizione punitiva durante un picchetto. Non sono coincidenze: è un sistema che si nutre di paura e omertà, che prospera nell'indifferenza generale e nella retorica del "piccolo è bello" che spesso nasconde il marcio.
La prognosi dice sette giorni, ma la ferita è molto più profonda: è uno sfregio alla Costituzione, è il fallimento di uno Stato che non riesce a proteggere chi lavora, è la vergogna di un Paese che si scopre ancora medievale nei rapporti di lavoro mentre si vanta di correre verso il futuro.
Tahla è pakistano, e anche questo non è un dettaglio: lo sfruttamento sa bene dove colpire, sceglie le sue vittime tra chi ha meno voce, tra chi può essere più facilmente zittito. Noi intanto scivoliamo via, distratti, assuefatti, complici.
In un Paese normale questa storia sarebbe uno scandalo nazionale. In Italia è solo cronaca locale. E questo, forse, è il vero scandalo.
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