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Attentato a Westminster: gli allarmi inascoltati e la reazione composta degli inglesi

 
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I l business delle ong che salvano i migranti
Nel 2016 i migranti giunti in Italia via mare sono stati 181.436, quasi il 18% in più rispetto all'anno precedente. Come scrive Alfredo Mantovano nell'articolo "Ah, i migranti di una volta" (dal Foglio del 22 marzo) i soggetti che hanno avuto un'espulsione definitiva sono stati solo il 5% degli irregolari arrivati. Non c'è da stupirsi quindi che l'enorme business legato all'accoglienza possa far gola anche alle ong internazionali che si occupano dei salvataggi in mare. Secondo il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro infatti, nei primi mesi del 2017 la percentuale di salvataggi effettuata dalle Ong è salita ad almeno il 50% e sono in corso verifiche su possibili complicità tra chi fa partire i migranti e chi li raccoglie.
Attentato a Westminster: gli allarmi inascoltati e la reazione composta degli inglesi
"We are not afraid", non abbiamo paura: la scritta che campeggiava un po' ovunque tra la folla riunita spontaneamente per ricordare le vittime dell'attentato avvenuto a Londra mercoledì scorso, è forse la risposta più bella che si può dare al terrorismo islamico. Ma come sempre, all'indomani di ogni attentato, c'è stato chi ha cavalcato le paure per scopi politici, chi ha cercato di minimizzare, e chi ha fatto del vittimismo. In un'intervista pubblicata su La Repubblica il 23 marzo, lo scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi dichiara: "Non ho paura del terrorismo della porta accanto o del primo volto asiatico che incontrerò per strada domani mattina. Ho paura che questo attacco moltiplichi il razzismo, che l'Europa veda in ogni musulmano un terrorista. La mia preoccupazione adesso è che questi saranno tempi sempre più difficili per le minoranze etniche e religiose in Europa". Le preoccupazioni di Kureishi a quanto pare sono piuttosto diffuse nel mondo islamico. Il giorno prima dell'attentato infatti erano stati resi noti i risultati di un sondaggio commissionato dell'Institute for Social Policy Understanding, un'associazione non profit che si occupa di integrazione dei musulmani in America. In base a questi sondaggi, risulta che quattro cittadini Usa di religione islamica su dieci affermano che i loro figli sono stati discriminati a scuola, mentre il 38% degli intervistati si sente preoccupato per la sua sicurezza più di qualunque altro membro di altri religioni. Nello stesso sondaggio il 30% degli intervistati si lamenta perché i musulmani vengono fermati per controlli molto più spesso rispetto agli ebrei. Forse non abbastanza, a quanto pare. Come scrive infatti Giancarlo Giacalone nell'articolo "Tutti quei segnali inascoltati sulla Londra ‘radicalizzata'" (da Il Giornale del 23 marzo) , in molte parti dell'Inghilterra erano state più volte denunciate attività di soggetti radicali, ma come era già successo in Francia e in Belgio, questi segnali erano rimasti inascoltati. Nel suo editoriale "Con gli occhi chiusi davanti ai terroristi", pubblicato il 23 marzo sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista scrive invece che ‘ricordiamo tutti molto bene gli attentati dal forte impatto spettacolare, mentre accogliamo con un certo torpore, con una reattività rallentata e addirittura con una forma di assuefazione rassegnata, la miriade di episodi che coinvolgono attentatori isolati'.
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Nel 2016 i migranti giunti in Italia via mare sono stati 181.436, quasi il 18% in più rispetto all'anno precedente. Come scrive Alfredo Mantovano nell'articolo "Ah, i migranti di una volta" (dal Foglio del 22 marzo) i soggetti che hanno avuto un'espulsione definitiva sono stati solo il 5% degli irregolari arrivati. Non c'è da stupirsi quindi che l'enorme business legato all'accoglienza possa far gola anche alle ong internazionali che si occupano dei salvataggi in mare. Secondo il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro infatti, nei primi mesi del 2017 la percentuale di salvataggi effettuata dalle Ong è salita ad almeno il 50% e sono in corso verifiche su possibili complicità tra chi fa partire i migranti e chi li raccoglie.
Attentato a Westminster: gli allarmi inascoltati e la reazione composta degli inglesi
"We are not afraid", non abbiamo paura: la scritta che campeggiava un po' ovunque tra la folla riunita spontaneamente per ricordare le vittime dell'attentato avvenuto a Londra mercoledì scorso, è forse la risposta più bella che si può dare al terrorismo islamico. Ma come sempre, all'indomani di ogni attentato, c'è stato chi ha cavalcato le paure per scopi politici, chi ha cercato di minimizzare, e chi ha fatto del vittimismo. In un'intervista pubblicata su La Repubblica il 23 marzo, lo scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi dichiara: "Non ho paura del terrorismo della porta accanto o del primo volto asiatico che incontrerò per strada domani mattina. Ho paura che questo attacco moltiplichi il razzismo, che l'Europa veda in ogni musulmano un terrorista. La mia preoccupazione adesso è che questi saranno tempi sempre più difficili per le minoranze etniche e religiose in Europa". Le preoccupazioni di Kureishi a quanto pare sono piuttosto diffuse nel mondo islamico. Il giorno prima dell'attentato infatti erano stati resi noti i risultati di un sondaggio commissionato dell'Institute for Social Policy Understanding, un'associazione non profit che si occupa di integrazione dei musulmani in America. In base a questi sondaggi, risulta che quattro cittadini Usa di religione islamica su dieci affermano che i loro figli sono stati discriminati a scuola, mentre il 38% degli intervistati si sente preoccupato per la sua sicurezza più di qualunque altro membro di altri religioni. Nello stesso sondaggio il 30% degli intervistati si lamenta perché i musulmani vengono fermati per controlli molto più spesso rispetto agli ebrei. Forse non abbastanza, a quanto pare. Come scrive infatti Giancarlo Giacalone nell'articolo "Tutti quei segnali inascoltati sulla Londra ‘radicalizzata'" (da Il Giornale del 23 marzo) , in molte parti dell'Inghilterra erano state più volte denunciate attività di soggetti radicali, ma come era già successo in Francia e in Belgio, questi segnali erano rimasti inascoltati. Nel suo editoriale "Con gli occhi chiusi davanti ai terroristi", pubblicato il 23 marzo sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista scrive invece che ‘ricordiamo tutti molto bene gli attentati dal forte impatto spettacolare, mentre accogliamo con un certo torpore, con una reattività rallentata e addirittura con una forma di assuefazione rassegnata, la miriade di episodi che coinvolgono attentatori isolati'.
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