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2. Licenziati dipendenti per un post su Facebook: è davvero possibile? Come evitarlo?

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Nell’epoca moderna ormai salta sempre più all’occhio quanto Facebook sia sempre più connesso con la nostra vita reale, sopratutto per ciò che riguarda la nostra reputazione o immagine.
Tuttavia risulta sempre più chiaro che un uso improprio o imprudente del social media più popolare del mondo può avere conseguenze nefaste, e non ci stiamo riferendo a querele, denunce per diffamazione o simili, ma addirittura del ritrovarsi senza lavoro a causa di un post condiviso o di un qualcosa che abbiamo scritto e che non rientra in ciò che l’azienda per cui lavoriamo può accettare.
In Italia i casi più noti al momento sono:
1) quelli della dipendente della mensa scolastica di Nichelino, che dopo aver condiviso il post di una madre che si diceva disgustata dall’aver trovato uno scarafaggio nella polenta data al figlio, si era vista prima sospendere dall’azienda e poi licenziare.
Il tutto senza aver mai nominato la mensa direttamente, e in un profilo che tra l’altro aveva impostazioni di privacy molto restrittive.
Naturalmente la donna si è rivolta ai sindacati, portando la questione di fronte al Tribunale del lavoro.
Il caso era finito persino in Parlamento, con il Ministro Poletti che si era detto esterrefatto dell’accaduto, promettendo di intervenire sulla questione.
2) L’altro caso invece è quello di una dipendente della Nestlé di Perugia, licenziata per aver criticato l’operato di un capo-reparto con un post su Facebook.
Nel post dichiarava di averlo sentito redarguire un collega dicendo che per lui era necessario il collare.
Nonostante la proteste sindacali, l’azienda aveva tenuto il punto, asserendo che l’operato della dipendente (sindacalista a sua volta) era una pura mistificazione dell’operato del capo-reparto, che aveva redarguito un dipendente per la scarsa osservazione delle norme di sicurezza ed igiene.
“Da un esponente sindacale” aveva dichiarato la Nestlé che ha la responsabilità di rappresentare centinaia di persone che lavorano nel più grande stabilimento del Gruppo Nestlé in Italia, ci si attendeva il sostegno e non la critica agli sforzi rivolti a salvaguardare – sempre e comunque – la sicurezza sul posto di lavoro, l’igiene e la qualità del prodotto”.
MA QUALI SONO LE LINEE GUIDA NELL’UTILIZZARE FACEBOOK PER I DIPENDENTI? QUALI SONO I RISCHI E QUALI AZIONI VANNO EVITATE?
1) Intanto bisogna ricordarsi che Facebook in realtà è un luogo pubblico, e va trattato di conseguenza, con prudenza ed accortezza, evitando di pubblicare contenuti che possano nuocere all’immagine e reputazione della propria azienda.
2) Denigrare il proprio datore di lavoro o superiori non è esattamente una mossa da Napoleone! Anzi, porta ad un licenziamento in tronco pienamente in linea con l’articolo 2.105 del codice civile, che si instaura al momento dell’assunzione e decade solo quando il contratto di lavoro è cessato, e che prevede la fedeltà all’azienda.
3) Attenzione però , anche usare troppo i social durante l’orario di lavoro non è una grande idea, dal momento che i computer ed i dispositivi se appartengono all’azienda, non danno alcun adito ad eventuali proteste sull’invasione della privacy, tipiche di chi contesta sanzioni o licenziamenti per l’eccesso di attività su Facebook o altri social.
Tali licenziamenti sono assolutamente in linea con una sentenza che ha fatto scuola
La 782 del 2016 del tribunale di Brescia.
In questo caso il datore di lavoro aveva semplicemente fatto due calcoli, accorgendosi che la sua dipendente ogni 3 ore faceva qualcosa come 16 accessi a Facebook, sottraendo (secondo il giudice) tempo all’attività lavorativa e incrinando così il rapporto di fiducia tra lei ed il suo datore di lavoro.
4) Se poi siete assenti da lavoro e pubblicate foto mentre fate aperitivo o siete al mare invece di essere sotto le coperte e stravolti dalla febbre come avevate assicurato, beh…non si può dire che il vostro licenziamento sia...
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Tuttavia risulta sempre più chiaro che un uso improprio o imprudente del social media più popolare del mondo può avere conseguenze nefaste, e non ci stiamo riferendo a querele, denunce per diffamazione o simili, ma addirittura del ritrovarsi senza lavoro a causa di un post condiviso o di un qualcosa che abbiamo scritto e che non rientra in ciò che l’azienda per cui lavoriamo può accettare.
In Italia i casi più noti al momento sono:
1) quelli della dipendente della mensa scolastica di Nichelino, che dopo aver condiviso il post di una madre che si diceva disgustata dall’aver trovato uno scarafaggio nella polenta data al figlio, si era vista prima sospendere dall’azienda e poi licenziare.
Il tutto senza aver mai nominato la mensa direttamente, e in un profilo che tra l’altro aveva impostazioni di privacy molto restrittive.
Naturalmente la donna si è rivolta ai sindacati, portando la questione di fronte al Tribunale del lavoro.
Il caso era finito persino in Parlamento, con il Ministro Poletti che si era detto esterrefatto dell’accaduto, promettendo di intervenire sulla questione.
2) L’altro caso invece è quello di una dipendente della Nestlé di Perugia, licenziata per aver criticato l’operato di un capo-reparto con un post su Facebook.
Nel post dichiarava di averlo sentito redarguire un collega dicendo che per lui era necessario il collare.
Nonostante la proteste sindacali, l’azienda aveva tenuto il punto, asserendo che l’operato della dipendente (sindacalista a sua volta) era una pura mistificazione dell’operato del capo-reparto, che aveva redarguito un dipendente per la scarsa osservazione delle norme di sicurezza ed igiene.
“Da un esponente sindacale” aveva dichiarato la Nestlé che ha la responsabilità di rappresentare centinaia di persone che lavorano nel più grande stabilimento del Gruppo Nestlé in Italia, ci si attendeva il sostegno e non la critica agli sforzi rivolti a salvaguardare – sempre e comunque – la sicurezza sul posto di lavoro, l’igiene e la qualità del prodotto”.
MA QUALI SONO LE LINEE GUIDA NELL’UTILIZZARE FACEBOOK PER I DIPENDENTI? QUALI SONO I RISCHI E QUALI AZIONI VANNO EVITATE?
1) Intanto bisogna ricordarsi che Facebook in realtà è un luogo pubblico, e va trattato di conseguenza, con prudenza ed accortezza, evitando di pubblicare contenuti che possano nuocere all’immagine e reputazione della propria azienda.
2) Denigrare il proprio datore di lavoro o superiori non è esattamente una mossa da Napoleone! Anzi, porta ad un licenziamento in tronco pienamente in linea con l’articolo 2.105 del codice civile, che si instaura al momento dell’assunzione e decade solo quando il contratto di lavoro è cessato, e che prevede la fedeltà all’azienda.
3) Attenzione però , anche usare troppo i social durante l’orario di lavoro non è una grande idea, dal momento che i computer ed i dispositivi se appartengono all’azienda, non danno alcun adito ad eventuali proteste sull’invasione della privacy, tipiche di chi contesta sanzioni o licenziamenti per l’eccesso di attività su Facebook o altri social.
Tali licenziamenti sono assolutamente in linea con una sentenza che ha fatto scuola
La 782 del 2016 del tribunale di Brescia.
In questo caso il datore di lavoro aveva semplicemente fatto due calcoli, accorgendosi che la sua dipendente ogni 3 ore faceva qualcosa come 16 accessi a Facebook, sottraendo (secondo il giudice) tempo all’attività lavorativa e incrinando così il rapporto di fiducia tra lei ed il suo datore di lavoro.
4) Se poi siete assenti da lavoro e pubblicate foto mentre fate aperitivo o siete al mare invece di essere sotto le coperte e stravolti dalla febbre come avevate assicurato, beh…non si può dire che il vostro licenziamento sia...
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