Iniesta, il silenzio e la maglietta del saluto
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di Paolo Tomaselli
11 luglio 2010, Johannesburg: la notte in cui "Andrecito" Iniesta diventò definitivamente Don Andrés. Segnando il gol che porta per la prima volta la Spagna sul tetto del mondo. E ricordando, nella sua esultanza, non la moglie, i figli o Emili e Raul (il motivatore e il fisioterapista, per lui insostituibili), ma qualcuno che non c’è più: il suo vecchio amico (e compagno delle nazionali giovanili) Dani Jarque, che se n’era andato un anno prima.
Destino? Parola troppo complessa per lui: «Dovevo essere lì in quel momento per buttare dentro quel pallone. Ed ero lì».
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11 luglio 2010, Johannesburg: la notte in cui "Andrecito" Iniesta diventò definitivamente Don Andrés. Segnando il gol che porta per la prima volta la Spagna sul tetto del mondo. E ricordando, nella sua esultanza, non la moglie, i figli o Emili e Raul (il motivatore e il fisioterapista, per lui insostituibili), ma qualcuno che non c’è più: il suo vecchio amico (e compagno delle nazionali giovanili) Dani Jarque, che se n’era andato un anno prima.
Destino? Parola troppo complessa per lui: «Dovevo essere lì in quel momento per buttare dentro quel pallone. Ed ero lì».
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