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M&M-Finestrino sul passato

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Narrazione di Manuel Cavalieri sul racconto Finestrino sul passato di Mirko Alberini.
Non ho mai fatto un viaggio così lungo. La mia stazione sembra non arrivare mai, le persone salgono e scendono da questo treno e non tocca mai a me schiodarmi da questo sedile.
Nel frattempo inganno la fatica della noia guardando dal mio finestrino il mondo esterno che corre veloce in direzione contraria, come missili passano case, parchi, storie e vite.
Un piccolo paese in lontananza si staglia sul finestrino più a lungo rispetto alle altre immagini, era costruito su una collina e la conformazione delle abitazioni ricordava una piccola cittadella medievale. Ho sempre avuto la passione per quei secoli bui, non c’era fiera rinascimentale che non frequentassi e la mia camera, almeno fino a una certa età, era piena di pergamene scritte con inchiostro e pennino e qualche riproduzione di spade appartenenti a un medioevo di fantasia. Poi sono “diventato grande”, così dissero i miei parenti almeno.
A quel punto il mio treno iniziò ad accelerare.
Trovai un lavoretto per finire i miei studi, mi laureai in economia con un ottimo voto e ora, mentre il mondo passava veloce al mio fianco capii che anche quegli anni spesi a portare pizze a domicilio e a litigare con i numeri passarono veloci, non ho saputo fermarli come se fossero l’acqua di un torrente che fugge tra le dita di una mano.
“Si avvisano i gentili clienti che il treno subirà un ritardo di dieci minuti”, disse la voce maschile e robotica all’altoparlante. In quel momento si sedette una signora di fronte a me, non anziana ma nemmeno giovane avrà avuto la sua sessantina d’anni. Si appoggiò la borsa sulle gambe, la abbracciò come se fosse un cucciolo amorevole e aprì un libro. Lo sguardo era concentrato dietro gli occhiali con la montatura rossa, sembrava che niente potesse distogliere la sua attenzione da quel mondo di pagine e io la lasciai a navigare in oceani sconosciuti di immaginazione. Rivolsi invece la mia attenzione ai campi che attraversavano il mio schermo sul mondo e ricordai le mie vacanze in campagna dai miei zii. Litigavano sempre, ogni giorno, ma si volevano bene, da piccolo non credevo che fossero mai esistiti da soli, erano troppo perfetti insieme.
Il treno si stava fermando: era giunto in una stazione, non la mia. Sospirai.
La donna di fronte si alzò, sempre con il libro in una mano e la borsa nell’altra. Scese e provai una sorta di tristezza. Non la conoscevo certo, ma era una presenza che ha colorato un frammento del mio viaggio, ora quel colore si fece più opaco.
Quando il mezzo ripartì rivolsi ancora lo sguardo fuori e vidi sullo sfondo una grande città, piena di alti palazzi, di fabbriche e di uffici. Prigioni. Galere che non lasciano entrare né i pasti di un passato, né la luce di un futuro, ma solo le tenebre di un presente. Ho avuto un presente così per molto tempo ottenebrato da numeri, bilanci e sigle di cui la maggior parte della gente non conosce il significato, ma adesso sono libero. Viaggiare è diventato il significato della mia esistenza. Posti, emozioni e soprattutto persone, questo conta è questo molto spesso dimentichiamo. Ora non sono più in carcere. Posso nutrirmi di ciò che voglio, posso vedere luci e luoghi mai visti. Apprezzo molto essere in pensione, se solo non fossi così vecchio e non avessi visto così tante persone scendere da questo treno.
Beh, forse è tempo che mi prepari, la prossima è la mia fermata
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Non ho mai fatto un viaggio così lungo. La mia stazione sembra non arrivare mai, le persone salgono e scendono da questo treno e non tocca mai a me schiodarmi da questo sedile.
Nel frattempo inganno la fatica della noia guardando dal mio finestrino il mondo esterno che corre veloce in direzione contraria, come missili passano case, parchi, storie e vite.
Un piccolo paese in lontananza si staglia sul finestrino più a lungo rispetto alle altre immagini, era costruito su una collina e la conformazione delle abitazioni ricordava una piccola cittadella medievale. Ho sempre avuto la passione per quei secoli bui, non c’era fiera rinascimentale che non frequentassi e la mia camera, almeno fino a una certa età, era piena di pergamene scritte con inchiostro e pennino e qualche riproduzione di spade appartenenti a un medioevo di fantasia. Poi sono “diventato grande”, così dissero i miei parenti almeno.
A quel punto il mio treno iniziò ad accelerare.
Trovai un lavoretto per finire i miei studi, mi laureai in economia con un ottimo voto e ora, mentre il mondo passava veloce al mio fianco capii che anche quegli anni spesi a portare pizze a domicilio e a litigare con i numeri passarono veloci, non ho saputo fermarli come se fossero l’acqua di un torrente che fugge tra le dita di una mano.
“Si avvisano i gentili clienti che il treno subirà un ritardo di dieci minuti”, disse la voce maschile e robotica all’altoparlante. In quel momento si sedette una signora di fronte a me, non anziana ma nemmeno giovane avrà avuto la sua sessantina d’anni. Si appoggiò la borsa sulle gambe, la abbracciò come se fosse un cucciolo amorevole e aprì un libro. Lo sguardo era concentrato dietro gli occhiali con la montatura rossa, sembrava che niente potesse distogliere la sua attenzione da quel mondo di pagine e io la lasciai a navigare in oceani sconosciuti di immaginazione. Rivolsi invece la mia attenzione ai campi che attraversavano il mio schermo sul mondo e ricordai le mie vacanze in campagna dai miei zii. Litigavano sempre, ogni giorno, ma si volevano bene, da piccolo non credevo che fossero mai esistiti da soli, erano troppo perfetti insieme.
Il treno si stava fermando: era giunto in una stazione, non la mia. Sospirai.
La donna di fronte si alzò, sempre con il libro in una mano e la borsa nell’altra. Scese e provai una sorta di tristezza. Non la conoscevo certo, ma era una presenza che ha colorato un frammento del mio viaggio, ora quel colore si fece più opaco.
Quando il mezzo ripartì rivolsi ancora lo sguardo fuori e vidi sullo sfondo una grande città, piena di alti palazzi, di fabbriche e di uffici. Prigioni. Galere che non lasciano entrare né i pasti di un passato, né la luce di un futuro, ma solo le tenebre di un presente. Ho avuto un presente così per molto tempo ottenebrato da numeri, bilanci e sigle di cui la maggior parte della gente non conosce il significato, ma adesso sono libero. Viaggiare è diventato il significato della mia esistenza. Posti, emozioni e soprattutto persone, questo conta è questo molto spesso dimentichiamo. Ora non sono più in carcere. Posso nutrirmi di ciò che voglio, posso vedere luci e luoghi mai visti. Apprezzo molto essere in pensione, se solo non fossi così vecchio e non avessi visto così tante persone scendere da questo treno.
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