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M&M-La Perfezione

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Narrazione di Manuel Cavalieri con l'aiuto di Deborah Campagnari sul racconto "La Perfezione" di Mirko Alberini.
Il peso del viaggio stava diventando insostenibile, per fortuna mancava poco alla sua fine.
Perfino la valigia era diventata una zavorra, una palla di ferro al piede di un prigioniero.
La appoggiai qualche istante per terra per riprendere fiato e poi incamminarmi verso casa, la mia vera casa, non quella che il lavoro aveva designato per me.
La trasferta diventava ogni settimana più lunga e pesante e la lontananza da casa mi faceva sentire in colpa.
Forse mia moglie e mio figlio mi avrebbero considerato uno sporco menefreghista nei loro confronti.
Forse avrebbero pensato che stessi meglio fuori città, lontano dai problemi della loro vita quotidiana. Ma non era vero. Solo lavorando distante avrei guadagnato una somma tale da rendere la vita facile e piacevole per loro e per quanto riguarda i problemi, bhe, era distruttivo per me pensare che ne avessero e che non potevo risolverglieli per la distanza.
Ripresi in mano il bagaglio pieno di vestiti, sensi di colpa e aspettative e mi diressi verso casa. Superai a piedi il parco nel quale sicuramente mio figlio rideva e scherzava con gli amici, poco più avanti passai di fronte al parrucchiere che faceva sempre la messa in piega a mia moglie e della quale mia moglie era sempre scontenta. Andai oltre la scuola e la chiesa, girai in una piccola via piena di botteghe alimentari e svoltai dove l’edicola faceva angolo. Superai tutte quelle tappe di quella quotidianità che non mi apparteneva, ma che vedevo come un obbiettivo da raggiungere. Arrivai poco dopo di fronte al cancello di casa e la osservai per qualche momento: una piccola villetta con un minuscolo giardino, le mura di un colore bianco ormai sporco e una lingua di ruggine che colava dalla grondaia, dalle finestre si intravedevano le tende che mia moglie aveva scelto con tanta cura e dietro di esse due ombre che ogni tanto passavano in velocità senza curarsi del mondo esterno, vivendo le loro vite, vivendo una perfezione incompleta.
Non volevo cercare le chiavi nella valigia, quindi suonai e attesi.
Mi venne ad aprire mia moglie. Un angelo. Gli occhi le si illuminarono e sorrise. Dio, quando amavo quel sorriso! Il rossetto rosso scuro che incorniciava una dentatura bellissima, gli zigomi che si alzavano e facevano sorridere anche i suoi occhi.
“Ciao, tesoro!” disse, “Ale, papà è tornato!” urlò poi a nostro figlio.
“Sei bellissima!”, non so perché fu questa la prima cosa che dissi, ma era vero.
“Bellissima? Anche con questa piega?” ridacchiò mentre si toccava i capelli.
La baciai sulle labbra.
“Ciao papà!” sentii urlare. Guardai in basso ed eccolo lì, quel piccolo scricciolo di 5 anni che mi guardava con i suoi grandi occhioni verdi. Lo presi in braccio.
Ecco, questa era la perfezione.
Arrivare a casa, dalle persone che si amano e guardarle come la prima volta. Per questo ringrazio il mio lavoro a distanza tanto quanto lo maledico: perché ci toglie tanto, ma quando finisce ci rende il doppio.
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La appoggiai qualche istante per terra per riprendere fiato e poi incamminarmi verso casa, la mia vera casa, non quella che il lavoro aveva designato per me.
La trasferta diventava ogni settimana più lunga e pesante e la lontananza da casa mi faceva sentire in colpa.
Forse mia moglie e mio figlio mi avrebbero considerato uno sporco menefreghista nei loro confronti.
Forse avrebbero pensato che stessi meglio fuori città, lontano dai problemi della loro vita quotidiana. Ma non era vero. Solo lavorando distante avrei guadagnato una somma tale da rendere la vita facile e piacevole per loro e per quanto riguarda i problemi, bhe, era distruttivo per me pensare che ne avessero e che non potevo risolverglieli per la distanza.
Ripresi in mano il bagaglio pieno di vestiti, sensi di colpa e aspettative e mi diressi verso casa. Superai a piedi il parco nel quale sicuramente mio figlio rideva e scherzava con gli amici, poco più avanti passai di fronte al parrucchiere che faceva sempre la messa in piega a mia moglie e della quale mia moglie era sempre scontenta. Andai oltre la scuola e la chiesa, girai in una piccola via piena di botteghe alimentari e svoltai dove l’edicola faceva angolo. Superai tutte quelle tappe di quella quotidianità che non mi apparteneva, ma che vedevo come un obbiettivo da raggiungere. Arrivai poco dopo di fronte al cancello di casa e la osservai per qualche momento: una piccola villetta con un minuscolo giardino, le mura di un colore bianco ormai sporco e una lingua di ruggine che colava dalla grondaia, dalle finestre si intravedevano le tende che mia moglie aveva scelto con tanta cura e dietro di esse due ombre che ogni tanto passavano in velocità senza curarsi del mondo esterno, vivendo le loro vite, vivendo una perfezione incompleta.
Non volevo cercare le chiavi nella valigia, quindi suonai e attesi.
Mi venne ad aprire mia moglie. Un angelo. Gli occhi le si illuminarono e sorrise. Dio, quando amavo quel sorriso! Il rossetto rosso scuro che incorniciava una dentatura bellissima, gli zigomi che si alzavano e facevano sorridere anche i suoi occhi.
“Ciao, tesoro!” disse, “Ale, papà è tornato!” urlò poi a nostro figlio.
“Sei bellissima!”, non so perché fu questa la prima cosa che dissi, ma era vero.
“Bellissima? Anche con questa piega?” ridacchiò mentre si toccava i capelli.
La baciai sulle labbra.
“Ciao papà!” sentii urlare. Guardai in basso ed eccolo lì, quel piccolo scricciolo di 5 anni che mi guardava con i suoi grandi occhioni verdi. Lo presi in braccio.
Ecco, questa era la perfezione.
Arrivare a casa, dalle persone che si amano e guardarle come la prima volta. Per questo ringrazio il mio lavoro a distanza tanto quanto lo maledico: perché ci toglie tanto, ma quando finisce ci rende il doppio.
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