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Storie di natura, di cigni e di parole. Alla foce del fiume Bevano in Romagna

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Qualche tempo fa un’amica, con cui stavo facendo un corso per imparare a raccontare meglio le mie storie, mi disse che le storie arrivano da sole. Sono loro che cercano te. E oggi evidentemente è uno di quei giorni in cui nessuna storia ha deciso di bussare alla mia porta. Mi sono sempre chiesta cosa si prova di fronte ad un foglio bianco, con l’urgenza di creare un testo che non arriva. E ancora adesso mentre scrivo e lascio che il flusso delle parole scorra sul foglio, non so ancora dove andrò a finire.
Oggi le parole mi stanno indicando una strada, ben chiara, evidente. Da percorrere senza indugio, ma lentamente. E’ la strada del silenzio. Eppure le parole non sono silenziose, le parole fanno un rumore assordante, a volte. Le parole sono fragorose come la cascata dell’Acquacheta, quella citata da Dante, dove mi è capitato di andare qualche volta, sempre spinta da quel non so cosa che mi porta verso la natura. Una sorta di ritorno verso il mio elemento naturale.
In realtà, sto riflettendo sul fatto che il silenzio non esiste. Nemmeno quando ci rifugiamo nel posto più isolato, quello dove pensiamo di essere l’unico essere vivente. Nessuno è mai veramente da solo. E la natura ce lo insegna ogni giorno. La scorsa estate ho visitato la foce del Bevano, poco più che un torrente che raccoglie le acque del fiume Montone e del Rabbi, mentre scendono dalle montagne della Romagna Toscana e si abbracciano per arrivare al mare.
La foce del Bevano è l’unica rimasta intatta, nel tratto di mare Adriatico che va da Trieste fino alla Romagna. Le dune di sabbia, modellano il panorama della spiaggia, quello che da su un tratto di mare calmo e silenzioso.
Se avete la fortuna di arrivare in un giorno qualunque della settimana, non il sabato o la domenica, il silenzio è l’unico rumore che vi accoglierà, mentre lasciate la strada statale, quella che porta i vacanzieri, e percorrete la strada sterrata che porta al centro visite della Bevanella. Il punto di accesso a questo luogo protetto.
Il Bevano è dietro l’angolo, pochi passi, costeggiando i bracci d’acqua e poi mi aspetta una piccola imbarcazione, rigorosamente elettrica. Non è possibile visitare questa oasi da soli e quindi non posso far altro che ascoltare diligentemente la guida, peraltro preparatissima, che mi racconta la vita dell’acqua e degli animali che ci vivono.
Eppure il silenzio prevale: sulle sue parole, sulla voce degli uccelli indifferenti alla nostra presenza, sui monosillabi dei capannisti, storica presenza umana di queste valli, con le loro reti appese a questi casoni di pesca costruiti in legno, sospesi sull’acqua, quasi come i trabucchi d’Abruzzo.
La barca si muove, eppure sembra ferma. E’ tutto piatto: il cielo, l’acqua, l’aria. Non si muove nulla. Siamo sospesi, eppure estranei. Scivolati in questo universo parallelo creato dalla natura e stranamente conservato dall’uomo. Nonostante tutto.
Persino la famigliola di cigni che ci viene incontro passa oltre, senza fare rumore.
Anche la guida resta in silenzio, eppure è abituato a vivere questi posti. Ma forse non ci si abitua mai, non ci si abitua alla lentezza, ossessiva ma necessaria, al silenzio, vuoto e spaventoso ma inderogabile, allo spazio, enorme, forse troppo.
E finalmente arriviamo al mare. Il Bevano finisce qui, tra le dune e i ciuffi di salicornia (un’erba palustre che sa di sale).
Le barriere poste a protezione della spiaggia non ci permettono di andare oltre. Ma in fondo non serve. Basta sedersi nello spiazzo li vicino e godersi ciò che esiste, ad occhi chiusi. In lontananza, una delle piattaforme di estrazione petrolifera della città di Ravenna, oramai quasi tutte in disuso.
E qualche gabbiano che si fa sentire.
Il silenzio esiste. Ed è quello che ci fa apprezzare quel picco di felicità che afferriamo, prima che ci sfugga, quando siamo in perfetto equilibrio con la natura, proprio come me in questo giorno.
Info
http://www.atlantide.net/amaparco/centro-visite-cubo-magico-bevanella/
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Oggi le parole mi stanno indicando una strada, ben chiara, evidente. Da percorrere senza indugio, ma lentamente. E’ la strada del silenzio. Eppure le parole non sono silenziose, le parole fanno un rumore assordante, a volte. Le parole sono fragorose come la cascata dell’Acquacheta, quella citata da Dante, dove mi è capitato di andare qualche volta, sempre spinta da quel non so cosa che mi porta verso la natura. Una sorta di ritorno verso il mio elemento naturale.
In realtà, sto riflettendo sul fatto che il silenzio non esiste. Nemmeno quando ci rifugiamo nel posto più isolato, quello dove pensiamo di essere l’unico essere vivente. Nessuno è mai veramente da solo. E la natura ce lo insegna ogni giorno. La scorsa estate ho visitato la foce del Bevano, poco più che un torrente che raccoglie le acque del fiume Montone e del Rabbi, mentre scendono dalle montagne della Romagna Toscana e si abbracciano per arrivare al mare.
La foce del Bevano è l’unica rimasta intatta, nel tratto di mare Adriatico che va da Trieste fino alla Romagna. Le dune di sabbia, modellano il panorama della spiaggia, quello che da su un tratto di mare calmo e silenzioso.
Se avete la fortuna di arrivare in un giorno qualunque della settimana, non il sabato o la domenica, il silenzio è l’unico rumore che vi accoglierà, mentre lasciate la strada statale, quella che porta i vacanzieri, e percorrete la strada sterrata che porta al centro visite della Bevanella. Il punto di accesso a questo luogo protetto.
Il Bevano è dietro l’angolo, pochi passi, costeggiando i bracci d’acqua e poi mi aspetta una piccola imbarcazione, rigorosamente elettrica. Non è possibile visitare questa oasi da soli e quindi non posso far altro che ascoltare diligentemente la guida, peraltro preparatissima, che mi racconta la vita dell’acqua e degli animali che ci vivono.
Eppure il silenzio prevale: sulle sue parole, sulla voce degli uccelli indifferenti alla nostra presenza, sui monosillabi dei capannisti, storica presenza umana di queste valli, con le loro reti appese a questi casoni di pesca costruiti in legno, sospesi sull’acqua, quasi come i trabucchi d’Abruzzo.
La barca si muove, eppure sembra ferma. E’ tutto piatto: il cielo, l’acqua, l’aria. Non si muove nulla. Siamo sospesi, eppure estranei. Scivolati in questo universo parallelo creato dalla natura e stranamente conservato dall’uomo. Nonostante tutto.
Persino la famigliola di cigni che ci viene incontro passa oltre, senza fare rumore.
Anche la guida resta in silenzio, eppure è abituato a vivere questi posti. Ma forse non ci si abitua mai, non ci si abitua alla lentezza, ossessiva ma necessaria, al silenzio, vuoto e spaventoso ma inderogabile, allo spazio, enorme, forse troppo.
E finalmente arriviamo al mare. Il Bevano finisce qui, tra le dune e i ciuffi di salicornia (un’erba palustre che sa di sale).
Le barriere poste a protezione della spiaggia non ci permettono di andare oltre. Ma in fondo non serve. Basta sedersi nello spiazzo li vicino e godersi ciò che esiste, ad occhi chiusi. In lontananza, una delle piattaforme di estrazione petrolifera della città di Ravenna, oramai quasi tutte in disuso.
E qualche gabbiano che si fa sentire.
Il silenzio esiste. Ed è quello che ci fa apprezzare quel picco di felicità che afferriamo, prima che ci sfugga, quando siamo in perfetto equilibrio con la natura, proprio come me in questo giorno.
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