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Il venerdì di [mini]marketing
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La newsletter del venerdì su marketing, digital, e-commerce e altre cose divertenti. Scritta e letta da Gianluca Diegoli.
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×Ok, lo sapevo che non dovevo scrivere la scorsa settimana. Perché all’inizio dell’anno si fanno le pulizie delle newsletter, ed era meglio fingersi morti. Grazie a te che leggi perché sei ancora qui, che se vuoi puoi inoltrare questa mail per recuperare i cinquanta unsubscribe mariekondici della scorsa settimana*. E grazie anche a Digital Angels, secondo sponsor dell’anno. *ovviamente non mi interessa nulla, figurati. Anche perché per l’economia comportamentale “denunciare qualcosa di negativo come fatto comune” significa normalizzarlo e indurre altri a comportarsi “male”. “Il 50% non fa la differenziata!”, “Ok, allora nemmeno io”. Non solo non funziona, ma funziona al contrario. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 4 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Qual è la percentuale di persone che in Italia consultano il loro oroscopo a gennaio? a) 30% b) 50% c) 90% In collaborazione con Digital Angels In un panorama digitale in continua evoluzione, quali saranno le novità che segneranno il 2025? A febbraio ti aspettiamo per un ciclo di webinar gratuiti , in cui esploreremo i trend più importanti del settore, dai social media al marketing strategico, dalla creatività al media planning. 📅 Ecco il calendario degli appuntamenti : * 6 febbraio : Strategic Marketing Trends 2025: Non è solo AI quel che luccica * 13 febbraio : Creative Trends 2025: Un anno da raccontare * 20 febbraio : Social Media Marketing Trends 2025: Strategie vincenti per coinvolgere il pubblico * 27 febbraio : Media Planning Trends 2025: Opportunità e Sfide ⏰ Ogni incontro si terrà dalle 10.00 alle 11.00 . 👉 Scegli i webinar più interessanti per te e iscriviti subito! Separa e unisci, separa e unisci È un po’ che non parlo di un concetto chiave del marketing contemporaneo. È l’eterna lotta tra i due poli del bundling e dell’unbundling . È affascinante – per me almeno – come osservare la resistenza che due bollicine aggrappate al vetro nella bottiglia di acqua gasata oppongono al fondersi in una. Poi desistono, e si fondono, ma quando diventano più grosse risalgono verso l’alto, lasciando spazio ad altre bollicine singole, e così via. L'unbundling è il processo di separazione in offerte separate di un servizio precedentemente venduto in blocco. Di solito non è il leader di mercato a frazionare – chi glielo fa fare – ma avviene con la nascita di nuovi sfidanti che offrono le parti come prodotto a sé, con caratteristiche tecniche solitamente migliori e a un prezzo più elevato, normalmente per sfruttare necessità di segmenti particolari di mercato, e a target come agli early adopter. Questi sono religiosamente attratti dagli unbundling – erano quelli che usavano Google Docs online quando non era di Google e si chiamava Writely. I singoli pezzi di un servizio venduto in bundle non fanno quasi mai nulla al meglio delle possibilità offerte dal mercato, ma fanno quasi tutto sufficientemente e si incastrano alla meraviglia, facendo risparmiare tempo a chi vende e chi compra: Microsoft Office non ha vinto a caso. A volte l’unbundling serve per l’upsell: le compagnie aeree low-cost ne sono maestre; le combinazioni per decidere posto, bagaglio, transito, assicurazioni, noleggio auto e (solo per Air Serbia) torta personalizzata a bordo, sono centinaia e contribuiscono al 70% del fatturato. In pratica ogni imprenditore, contrariamente alla mitopoiesi corrente (da quando ho scoperto questa parola la infilo ovunque) non inventa (quasi) niente, ma solo aggrega o spacchetta. Il marketing strategico deve analizzare le potenzialità dell’unbundling. Significa capire dove tracciare il confine della propria offerta, sapendo che si sposta in continuazione. A seconda del target, dello stato del ciclo di vita del prodotto, del settore, della propria capacità di vendere a pezzi o in bundle, la strategia deve essere diversa. Nei periodi rivoluzionari l’unbundling vince attraverso le startup. Ma le rivoluzioni finiscono sempre con la restaurazione, che a sua volta finisce per favorire i bundle. La exit di una startup verso il competitor di solito è un tipico re-bundling. Nessuno si aspetta l’unbundling Ma cosa succede quando è il mercato ad attaccare il tuo bundle, e sei nell’editoria? Ero in riunione questa settimana con il team di un piccolo editore specializzato su di una filiera di eccellenza industriale italiana. Tecnologia all’avanguardia nascosta di solito in un capannone brutto. Aziende che tengono su tutto il baraccone del design italiano fino ad arrivare ai fatui party del Fuorisalone, ma che se le guardi dalla strada sembrano autosaloni eritrei dell’usato Nissan, e chiedo perdono ai valorosi eritrei, e la loro gloria è seppellita sotto strati multipli di subfornitura. Ebbene, oggi l’editoria di settore è decisamente a fine corsa. Le aziende, giustamente o no, mi dicono, preferiscono spendere soldi dove “si vede se qualcuno compra”. Cioè sul digitale, facendosi arrivare lead più o meno di valore, a costo di buttarne via il 99%. E sfogliando un magazine di carta è difficile che qualcuno compri al volo qualcosa – soprattutto se sono macchine di precisione da decine di quintali. Un magazine di settore di nicchia, di carta, inviato via posta (per la maggior parte a gratis), era un classico bundle novecentesco. C’era dentro tutto lo scibile per l’imprenditore, spesso anche marketer e venditore al tempo stesso: * disporre di una blanda informazione sul mercato, prima che ci fosse abbondanza, con un influencer e un tiktoker per qualunque settore merceologico * togliersi la curiosità sui competitor – e sperare ogni mese segretamente nel loro fallimento * rimpolpare la propria vanità mostrando ai competitor pagine agiografiche comprate come interviste o pubbliredazionali mascherati * spacciare l’abbonamento al magazine per formazione su prodotti e processi * fare networking e chiedere favori/contatti In un mondo di editoria di carta fare unbundling era complicato. Si comprava una pagina di pubblicità per avere accesso un po’ a tutto. E oggi? A nessuna azienda cliente serve tutto , sempre . Non tutto è perduto Serve ripartire a) dagli asset di valore e di difesa (o anche moat ): cosa sappiamo fare? Quali nostre competenze (non ancora servizi) sono veramente distintive e non replicabili da altri? e b) dal valore: cosa ci chiede davvero il mercato? Qual è il fine ultimo delle cose che ci chiede? Per cosa sono disposti a spendere questi clienti? La teoria dei Jobs to be done, detta anche Jobs Theory, sostiene che le persone non comprano i prodotti ma li “assumono” per svolgere un compito, come risolvere un problema, o soddisfare un desiderio. Il database dell’editore (che è un who’s who) e il suo know how tecnico sono gli unici pilastri non contendibili, il moat , su cui ricostruire un valore. La carta uguale per tutti è solo una zavorra. Oggi questo “editore” può ribaltare l’unbundling a suo favore e: * organizzare eventi, workshop, roadshow – anche on demand; * fare ricerche di personale; * fare formazione online su vendita e produzione; * vendere un “bollettino” di insight, studi e dati a pagamento a caro prezzo; * vendere pubblicità su newsletter e sito, per coloro che misurano i clic; * segmentare e continuare ad arricchire il database per DEM e liste profilate; * proporre servizi di ufficio stampa e PR; * ricerca di contatti qualificati per mercati esteri, chiavi in mano – pagamento alla call generata; * e… perché no? Una unica pubblicazione de luxe annuale, da tenere nelle sale d’aspetto con piante e marmi. Deve fare tutto questo? No, sono possibilità da valutare. È ancora “un editore”? Probabilmente no. È importante? Probabilmente no. Finito un bundling se ne farà un altro diverso, chissà. Il marketing insegnato dai negozianti Selettivi ma onesti. (Domitilla, località ignota) Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato di discount fluidi nell’era di TikTok . * Il 4 febbraio a Bologna intervisto senza filtri Enrico @edtv Marchetto; presenterà il suo libro Confessioni di un marketer alle 18:30 da Zoo, in Strada Maggiore. Segnate in agenda. No stream, just beer. * Sono aperte le iscrizioni per una nuova classe del Corso Part-Time di Digital Marketing di Develhope, in cui insegno strategia generale. È adatto per chi parte da zero e vuole lavorare nel marketing. Info qui . That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa. Grazie ancora a Digital Angels. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Ci vediamo puntuali venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: c) 90% (da prendere con le molle, questo dato è riportato da vari giornali come “ultimi dati”, ma potrebbe risalire a un comunicato stampa di dubbia fondatezza. La storia del 90% è interessante per capire come le non notizie, a furia di ricerca Google e copia incolla, si perpetuano). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Oh, a guardare quanto aumentano gli iscritti qui senza scrivere newsletter, mi è venuta quasi voglia di non scrivere più. È un po’ come il reddito passivo dei guru finanziari, in effetti. Stai lì in panciolle a vedere affluire soldi, solo che qui sono iscritti e iscritte. Purtroppo non credo ai guru finanziari, e quindi niente, sono qua, si ricomincia. Benvenute e benvenuti a chi ha messo la propria email qui, e grazie. E grazie anche a Instilla, primo sponsor dell’anno. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 4 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Quanto valeva un cliente all’anno per Tiger (cioè Flying Tiger ecc.) nel 2023, all’incirca? a) 6 euro b) 10 euro c) 19 euro In collaborazione con Instilla Digital Audit gratuito #2… non abbiamo resistito! Il Digital Audit Gratuito e Personalizzato realizzato da Instilla ha avuto un grande successo, e non potevamo che riproporlo anche a gennaio!Le prime 30 persone che lo richiederanno potranno ottenere un’analisi approfondita su una verticalità del proprio business , scegliendo tra Communication, Brand Identity, Social Media, Paid Media, SEO, Analytics & Tracking, Email marketing / Marketing Automation e UX/UI.Il Digital Audit metterà in luce: * I punti di forza del brand sulla verticalità * Le opportunità di crescita * Alcune indicazioni pratiche per ottimizzare la strategia Per richiedere il Digital Audit Gratuito accedi alla pagina dedicata , seleziona la verticalità da approfondire e fissa una prima call consulenziale per condividere i dettagli dell’analisi. Il Digital Audit Gratuito ti verrà presentato in un secondo incontro dedicato.Posti limitati: solo i primi 30 iscritti potranno accedere al Digital Audit Gratuito, non perdere tempo! Il discount nell’era di TikTok È stupefacente la capacità del retail fisico - quell’aggregato di pratiche magiche per cui ci piace andare a farci spennare in negozi affollati, illuminati a giorno e zeppi di altri umani - di ricrearsi, ricostruirsi. Si dice che la pubblicità sia uno scarafaggio - nel senso di qualcosa che non puoi sconfiggere, solo scacciare, prima che ritorni più forte e numeroso di prima - ma in realtà il vero scarafaggio è il retail fisico. Dopo il Covid lo davamo per morto et voilà: torna in mille ricombinazioni diverse. Gli tagli la testa e se ne formano due, come i lombrichi. Le persone non vanno più ad acquistare per acquistare? Ci metti un coffee shop dalle parvenze nordiche, per fingere di essere a Stoccolma, come nello store di Arket a Milano. Ci siamo inventati la ristolibreria, per chi vuole sentirsi parte di una élite pure mangiando le stesse pappardelle al cinghiale della mensa della Camst, c’è la ristoriparazione, dove riparano biciclette e ti fanno la quinoa. È in questo mischione epocale, in questo collasso delle categorie merceologiche che risorgono nuove forme di retail. Certo, farlo online è facile, si chiama curation, vai in giro per il web e trovi tutto quello che interessa al tuo archetipo di segmento target: per esempio il negozio per il runner - dalle noccioline alle creme anti-callo. Non so se esistano, immagino di sì. Ma che sicuramente vengono presentate come specifiche per i runner, ma al 99,99% uguali a quelle di vostra nonna. E magari un help desk per i clienti per aiutarli nel configurare Strava, che altrimenti si considerano dei reietti asociali. Farlo offline è più costoso e complesso, e richiede di mettere assieme capra (verticalità, differenziazione, unicità) e cavoli (un sufficiente e capace bacino geografico dove pescare il target). Per quanto i click costino come oro, nel 2025, lo sbatti per mettere su un punto vendita con vere persone, veri scaffali e vera logistica va molto oltre il costo economico dell’affitto, in svendita nelle de-industrializzate periferie ed ex zone artigianali italiane. Però quando funzionano, la potenza del passaparola per i negozi fisici è incredibile. Sembra che quelli con cui stai pranzando non riescano proprio a trattenersi. Tu cambi argomento e loro, tac, ci tornano sopra. “Devi ASSOLUTAMENTE andarci”. Ok. “No, dico davvero!” E allora vado. Si chiama Action. Come azione, ma più probabilmente arriva da Aktion, che vuol dire promozione in tedesco. E loro sono tedeschi. Una volta i tedeschi producevano - per rimanere nelle robe piacevoli - automobili. Ora producono discount. E che discount. Quando noto che hanno registrato un action.com che da solo vale più di tutte le startup italiane, be’ capisci che devi andarci con un certo rispetto. Perdo colpi: perfino mia sorella risponde alla domanda su di una sua visita ad Action con “ovviamente”. Da fuori Action è un mix di estetiche di Obi, Decathlon e Aldi, ma quel colore azzurro e la A con le barrette (a darle movimento, direbbe un art director) potrebbero far pensare a integratori proteici. Mi sembra strano, ma scoprirò che nulla è in realtà casuale. L’Action che visito io è grande come un Lidl della taglia XL. È il 29 di dicembre, e il parcheggio è pieno. Dentro c’è fermento. Action è un insieme di lombrichi a cui hanno tagliato la coda e, rimescolati, si sono riattaccati da soli. Sembra normale che si passi da uno scaffale di enormi integratori proteici da 670 g di polvere alla fragola a un intero scaffale di candele profumate (in un angolo, con un ultimo rigurgito di categoria merceologica, ci sono anche quelle funebri). Perché tante candele? Non ricordo bene dove l’ho letto, credo su “Domani” in un articolo di Giulia Pilotti, suonava più o meno così: “Se non possiamo pagarci il mutuo, almeno una costosissima candela profumata sì”. Qui però non costano poi molto, ma ammetto che non so il prezzo medio delle candele. Forse basta che la candela appaia costosa, con quei nomi tipo “White Lily” o “Autumn Spice”. Il discount contemporaneo è ossessionato dai trend sociali, che a loro volta si diffondono via TikTok e Instagram. Si aggiorna, devi farsi trovare pronto. Nessun prodotto ha lo scaffale garantito, non è che tu cracker salato perché ti abbiamo sempre venduto hai il diritto di occupare il posto, come un latifondista improduttivo. Serve la creatina (non la creatività), fai spazio. Ora è il momento delle palle manubrio per esercizi casalinghi davanti a YouTube, domani lo stesso spazio potrebbe essere preso da uno stock di dinosauri in gomma. Il prodotto nel retail contemporaneo oggi è un precario, un freelance. E quindi le cose cambiano, e il vecchio sbuffo del vecchio cliente Coop “dove avete spostato il mio formaggio?” (cit.) viene sostituito dalla gamification della scoperta, come se il cestello “boxino morboso” della Lidl con il suo potpourri di felpe e avvitatori ricaricabili avesse preso tutto lo spazio disponibile. Qui il ruolo dell’avvitatore è di una “massage gun” che mi fa paura solo a maneggiarne la scatola. Se non sapete cos’è non siete contemporanei neppure voi. Il beauty, a proposito di contemporaneità, non può mancare. Non c’è tutto quello che trovi al Tigotà, ma tutto è selezionato per farti trovare ciò che puoi aver visto su TikTok. Maschere facciali, robe coreane. Per l’uomo è già pronta l’esposizione per fai da te e giardino: non accusatemi di genderismo, ho solo osservato chi guarda cosa, e la realtà è questa. La casetta per uccelli da giardino è il trending topic, magari con fotocamerina per far vedere le fotine degli uccellini carini ai bambini. L’altra caratteristica del discount contemporaneo è che non si nasconde dietro al dito. Dobbiamo costare meno dell’online, punto. Come dicono gli americani: se non sopporti il caldo, non stare in cucina. Poi il discount contemporaneo ha capito una cosa: che i veri ricchi abitano in case piccole. I poveri in periferia in case grandi: e via allora alle mega confezioni da 500 grammi di senape piccante a 1,49 euro. Meno di una bottiglietta d’acqua dello stesso volume in stazione centrale. Una volta che inconsciamente hai capito che qui spendi poco, ti sottopongono le commodity: spruzzini per la pulizia della casa, detersivi, insomma i soliti due scaffali di qualsiasi supermercato. Le barriere razionali sono ormai abbassate, sfogato il momento discovery di quello che non sapevi di volere, ora devi ammortizzare il tempo speso all’interno, e via con manciate di dentifrici senza nemmeno guardare più il prezzo. Action è in parte Lidl, in parte Tiger, perfino un po’ Leroy Merlin, ma anche un po’ Kasanova. Poteva essere un insuccesso clamoroso, e invece il lombrico tagliato a metà si è riprodotto come non mai. Esci, e riguardi lo scontrino: 120 euro di cose. Per esempio, ora possiedo 45 punte per trapano di colori diversi, purtroppo non ci sono le istruzioni e non so quali usare per il muro. PS: se ti interessano le esplorazioni di negozi, ti consiglio Il marketing insegnato dai negozianti Punctum: prospettiva da controllare meglio per designer di font e insegne. (di Batchiara) Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni La scorsa settimana ero in ferie, ma puoi recuperare quella sul presepe, o tenerla per l’anno prossimo. Il 4 febbraio a Bologna intervisto senza filtri Enrico @edtv Marchetto; presenterà il suo libro Confessioni di un marketer alle 18:30 da Zoo, in Strada Maggiore. Segnate in agenda. No stream, just beer. That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa. Grazie ancora a Instilla. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Ci vediamo puntuali venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: a) ogni cliente di Tiger vale 6 euro all’anno. Si può dividere il fatturato (573.570.800 EUR) per il numero di clienti (93.000.000) ≈ 6.17 EUR (fonte Wikipedia, anno 2023). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Ehi, prima di scrollare aspetta un attimo! Questa edizione ha un obiettivo speciale. Il ricavato della donasponsorizzazione a Emergency pro-Gaza di questa settimana (750 euro) è stato versato da Veralab . Io ci aggiungerò di mio altri 250 euro. Super grazie, davvero . 2.000 euro a Emergency tra questa e l’edizione della settimana scorsa non sono niente male. Vorrei anche ringraziare tutti gli sponsor del 2024 che con il loro contributo mi hanno incentivato grandemente a mantenere viva, vegeta e puntuale questa newsletter. Sono lieto che qualcuno mi abbia scritto che lo spazio sia servito per trovare nuovi contatti. E infine ringraziare te, sì TE, che mi leggi. Mi meraviglio di quante e quanti siete, quasi ventimila. E del tempo che mi dedicate, anche con email e tutto il resto. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte qui, su LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 5,2 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Questa è l’ultima newsletter del 2024 e anche per questo un po’ particolare. Riprende certi usi della cosiddetta blogosfera, in cui a fine anno si scriveva un raccontino “natalizio”. Se ne trovano ancora tracce sul blog di Squonk, ideatore e organizzatore della pubblicazione. Per chi fosse arrivato qui negli ultimi anni ricordo che qui, prima come blog e poi come newsletter, si scrive dal 2004, ed è una specie di fossile vivente stratificato di venti anni di trasformazione violenta, ma anche di cose che non cambiano mai (il post sul marketing della ferramenta potrei averlo scritto oggi). In generale sono contento di aver scritto – a vari livelli di qualità – per venti anni in modo serio ma non serioso. Avviso Veralab aka Cristina Fogazzi voleva fare la donazione pro-Emergency senza usare questo spazio della reclame, ma questa è una newsletter di marketing e quindi è obbligatorio. Quindi iscrivetevi alla sua newsletter, che è pure divertente, e istruttiva su come creare un legame con la propria comunità, e pigliatevi un coupon del 15%! Il presepe di [mini]marketing 2024 Era di nuovo la notte del 24 dicembre nella città di Marketing, ribattezzata New Marketing dopo che il nuovo product manager si era insediato. Aveva giustificato il cambio di nome per (a suo dire) dare visibilità al nuovo posizionamento strategico. Sotto ai cartelli stradali di New Marketing si leggeva ora “fai di più con Gemini AI, provalo ora gratis per 15 giorni!”. Google stava disperatamente cercando di vendere il suo prodotto del 2024 a tutti i personaggi del presepio. Ogni partecipante al presepio aveva ricevuto una pergamena con un codice per attivare la prova. Il panettiere se lo era trovato nel display del forno “crea pagnotte in dieci secondi con Gemini”. Ma lui niente, continuava a usare ChatGPT, perché suo nipote diceva che era meglio. In realtà, tutti stavano usando ChatGPT per qualunque cosa, e il presepe aveva assunto qua e là sentori particolari. Un cane da pastore aveva una zampa in più, ma era comunque contento perché “meglio una più che una in meno”. Il suo collega gli aveva fatto l’occhiolino: “Basta non averne sei eheh”. Qualcuno aveva creato con DALL-E una pista da sci, c’era stata una breve sollevazione popolare dei personaggi conservatori, come il tassista e il vicepresidente del presepio, molto ascoltati – non c’era mai stata la pista da sci al presepio! – ma poi gli Emirati l’avevano sponsorizzata e nessuno aveva più obiettato. Pareva anzi che anche la prossima edizione del presepe si sarebbe tenuta in Arabia Saudita, come i campionati di calcio. Qualcuno per scherzo aveva fatto sbucare un Godzilla dietro le colline, ma subito il prompt era stato bloccato. A ChatGPT era stato offerto quest’anno per acclamazione il ruolo di Giuseppe: tutti sapevano che era il vero padre del nuovo bambinello e del resto, ma facevano finta di credere all’altra storia, cioè che tutto il presepe fosse frutto della creatività delle agenzie preposte. Visti i rapporti, la madonna era impersonata da Microsoft: un pilastro della fede che nessuno voleva da sempre mettere in discussione. L’asinello Cloud come al solito presidiava il lavoro duro di riscaldamento dell’intero presepe, e tutti lo rispettavano, mentre il bue Telco se ne stava lì mesto, sempre a rimuginare di come il suo duro lavoro di trasporto non fosse mai stato riconosciuto davvero. Dopo anni di assenza, erano tornati i profeti delle crypto. Il cambiavalute ne aveva acquistati un po’, un certo Giuda aveva comprato 30 denari in Bitcoin. Il pastore aveva venduto una pecora per un centesimo di una nuova crypto chiamata Starlink, diceva a tutti che quando il sei gennaio vedranno il nuovo Re Magio biondo e dalla pelle arancione capiranno perché. È sempre stato un tipo strano, il pastore sosteneva che il presepio fosse piatto, per esempio. O che l’angelo sopra alla capanna non volasse davvero. Di recente era stato visto con un personaggio discusso, che prima aveva cercato di imporre una nuova costosa carrozza con cavalli elettrici, poi si era comprato le stelline del cielo del presepe, poi qualcuno gli aveva venduto il servizio di scambio pergamene (nessuno lo usava più, dopo che erano nati dissing accesi tra i filosofi e i centurioni romani sull’apertura delle frontiere del presepe a nuove figure da altre scenografie “non comunitarie”). Costui ora sosteneva, spedendo una pergamena ogni quindici minuti, di essere un consigliere particolare dello stesso presunto nuovo re magio arancione. Non si erano ancora visti i Re Magi, in ritardo perché erano tornati ai cammelli abbandonando l’alta velocità – con cui sarebbero arrivati a febbraio. Come sempre carichi di oro, argento e quell’altra cosa che non ricorda mai nessuno, arrivavano da regni chiamati EMEA, APAC, NAMER (quello arancione). Il tizio dall’Asia, APAC appunto, portava ogni anno roba che nessuno ricorda, ma prodotta miracolosamente in serie e a prezzi bassissimi. Un anno si faceva chiamare Temu. L’anno prima Shein, l’anno prima AliExpress. Quest’anno con un colpo di Stato un tizio chiamato Vinted aveva usurpato il re magio EMEA. Dopo un attimo di sorpresa, il responsabile della CSR del presepe aveva dato la sua approvazione. Con Vinted nel presepe si sentivano tutti più buoni – e il solito vestito di Prada di Maria era costato molto meno. Quello NAMER avrebbe portato il solito argento, ma dall’importo sarebbero state detratte le multe annuali dell’Unione europea. Se lo volevano lì, o così o niente. Anche quest’anno erano assenti dei personaggi: il mugnaio e il fabbro avevano il contratto in smart, che non c’era mica bisogno – dicevano – di stare ventiquattro ore lì fermi e che il ruolo del lavoro andava ripensato. Altri erano assenti, si vedevano gli spazi vuoti, ma nessuno ricordava chi fossero. Si erano disiscritti citando la GDPR e di loro si erano perse le tracce. Non avevano nemmeno potuto avvisarli della convocazione 2024. Il personaggio sorpresa dell’anno scorso era diventato un riccone. L’anno scorso era stato pure divertente, quest’anno guardava tutti dall’alto in basso, e nessuno riusciva a staccargli gli occhi di dosso, come se fosse un ipnotizzatore. Canzonava per divertirsi i vecchi pastori boomer. «Sono un pastore boomer del presepe, certo che penso che ai miei tempi Gesù bambino lo si trovava senza bisogno del GPS.» Questi impazzivano nei commenti su Facebook. Dicevano, speranzosi, che un tribuno americano lo avrebbe tolto di mezzo presto. «Popolo della terra, gioite, nel 2025 è in arrivo una nuova stagione!». Era arrivata la cometa di Netflix. «Adesso sì che è un buon Natale!» dissero tutti in coro. Un venditore al mercato del pesce se ne uscì con «e felice Q5 2024!» rovinando un po’ l’atmosfera. Ma tutto sommato, la felicità aleggiava nell’aria: anche quest’anno Erode, il garante della privacy del presepe, non si era visto. Nessuno aveva notato che il bambinello era la fotocopia sputata di Giuseppe. Solo osservandolo bene si poteva notare che aveva due piedi sinistri. Il marketing insegnato dai negozianti Punctum: aziendali Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni varie * La scorsa settimana ho parlato di etnografia e sociologia delle luminarie del Natale. * Ho partecipato alla trasmissione “Laser della Radio della Svizzera Italiana, condotta da Rachele Bianchi-Porro, sulla regressione infantile collettiva consumistica dei calendari dell’Avvento: il titolo della puntata è “Finestrelle sull’infanzia”. Si ascolta qui . Buone feste! Grazie ancora a Veralab. E se ti è piaciuta, inoltrala in giro. ci vediamo nel calendario nuovo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Ehi, prima di scrollare aspetta un attimo! Questa edizione ha una sponsorizzazione molto speciale. Il ricavato (750 euro) andrà a Emergency pro-Gaza , ed è offerto da Traininpink , che è risultata la migliore offerente all’asta benefica che avevo lanciato per le edizioni pre-natalizie (normalmente snobbate dagli sponsor). Io ci aggiungerò di mio altri 250 euro. La settimana prossima un altro sponsor ha comprato pro-Gaza l’ultima edizione 2024, che non spoilero ora. Grazie, davvero . Sei tra le circa 25.000 persone iscritte qui, su LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 5,2 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Quante sono state le ricerche su Google per “luci (di) natale” nel dicembre 2023, all’incirca? Risposta in fondo. A) 500.000 B) 1.000.000 C) 2.000.000 [ad] Rimettiti al primo posto Da quanto tempo non ti prendi cura di te? Se stai leggendo questa newsletter e sei donna, probabilmente avrai mille impegni e progetti, sarai sempre di corsa... un giorno dovrebbe avere 48 ore ! Se ti rispecchi in questa descrizione, benvenuta : dal 2019 abbiamo trasformato più di 157.000 donne impegnate come te , aiutandole a sentirsi di nuovo forti e belle. Non devi andare in palestra, non devi avere attrezzi: ti bastano 27 minuti, 3 volte a settimana nella comodità di casa tua con il nostro Pilates . Tra un anno avresti voluto iniziare oggi : per questo ti regaliamo uno sconto esclusivo del 30% se inizi oggi, cliccando il link qui in basso. Ti garantiamo i risultati : se dopo 30 giorni non sei soddisfatta, ti rimborsiamo , nessuna domanda o spiegazione necessaria. Cos’hai da perdere? Entra nel nostro club esclusivo di donne che si vogliono bene, si sentono bene e si vedono bene. PS: lo sconto scade tra 24 ore , non aspettare – la nuova te ti aspetta. Il mercato dell’ossessione per le lucine natalizie C’è nella mia età matura un sentore lieve di malcelato piacere consumistico, un colpevole fare il tifo per quelli che sono oggi additati come i veri cattivi: la compiacenza per i produttori di cazzate. Penso sia dovuto (anche) inconsciamente alle privazioni dell’infanzia. Privazioni come possono essere privazioni quelle percepite da privilegiati figli di dirigente di banca, come si direbbe ora. Non privazioni dovute alla mancanza di risorse economiche quindi ma dal fatto che mia madre, cresciuta nel dopoguerra povero e bisognoso, ci imponeva rinunce che oggi considero completamente insensate e incongrue, che convivevano assieme a spese folli per l’arredamento di casa. Sapete quelli che giuravano che se mettevi le pile sul termosifone queste si ricaricavano? Lei fa parte di quel genere di persone. Ecco, ero un bambino pubblicamente invidiato dai compagni per l’auto di mio padre, ma in privato ero un mendicante di batterie AAA per le decorazioni di Natale o qualsiasi altro gioco che necessitasse di energia elettrica semovente. Figuriamoci dunque quanto erano considerate le decorazioni natalizie. Era sempre la stessa striscia di palline che usciva dalla stessa scatola da quando ne avevo memoria: luminarie luminose, sicuramente made in Padania, orrende, di tutti i colori dell’arcobaleno, ovviamente lampeggianti all’impazzata, dalle lampadine indistruttibili. Certo, allora le cose sì che duravano, signora mia, non c’era l’usa e getta luminoso-natalizio. In realtà quando si rompeva una lampadina si oscuravano tutte, per un motivo ingegneristico scemo che mi hanno spiegato ma che non ricordo mai. Si appoggiavano sul balcone con la propaggine che finiva su di un pino ben al di fuori dalla sua zona di comfort, e finiva lì. Ma, credetemi, era uno strazio, quel rivedere sempre le stesse luminarie. Del resto, non ricordo ci fosse poi nel mondo di allora “un trend” per le lucine. E se c’era, non arrivava sul Resto del Carlino. O forse non ne eravamo a conoscenza perché stavamo in provincia, ma non credo. In queste cose trash la provincia è da sempre all’avanguardia. Anche le vie, che mi ricordi, erano illuminate solo per l'annuale fiera del patrono, non per il Natale. (Forse comparve una cometa luminosa quando iniziò la assurda competizione tra paesi dei presepi meccanici, ma quella è un’altra storia ancora di cui recuperare tracce in questo pdf del 2006 , chiamato “Il post sotto l’albero”, ruderi della cosiddetta blogosfera). Luci trendy E invece da qualche anno le luci di Natale sono come le tendenze delle passerelle della moda autunno-inverno. Magari ci sono davvero: a Shenzhen i grossisti faranno le sfilate di lucine. (Una volta vidi tutte le statuette turistiche italiane in mostra a una fiera business a Milano, c’era un tizio asiatico che le quotava a chilogrammi. C’era Capri a fianco di Venezia, e anche quella delle Cinque Terre che marcava stretta la Torre di Pisa. Il business to business, a saperci guardare bene, è sempre molto divertente.) Ed ecco che quattro anni fa ci fu il picco della renna di LED in 3D, con modelli premium che poi morirono economicamente annegati in un’inflazione di renne low-cost cinesi negli anni successivi. Ma la cavalcata delle lucette era iniziata almeno dal nuovo secolo in poi. Prima abbiamo superato i 200 milioni, poi 300 nel 2018, e ora si stima che siamo sopra i 400 milioni all’anno in Italia. Avere luci colorate, proiezioni dinamiche e installazioni artistiche non era più solo un benefit riservato ad amministratori pubblici che sanno come coccolare i propri cittadini a spese dei cittadini stessi. Dai primi anni 2000 si è passati dalle classiche palline carnevalesche nei giardini come il mio ai proiettori che trasformano le pareti delle case in scenari tra il religioso, la disco di Riccione e il noir scandinavo, fino alle luci minimaliste dal design che-bella-Stoccolma-ci-siamo-appena-stati che puntano su sobrietà e raffinatezza, segno di status e reddito superiore. Come nell’armocromia, i trend rimbalzano tra il desiderio di stupire il vicino con effetti stroboscopici e la suddetta ricerca di un’eleganza falsamente modesta che sottintende redditi da Hamptons. A volte mi chiedevo come avessero fatto certi a installare addobbi su tralicci, torri, alberi altissimi: poi ho capito, sono gli artigiani che hanno sempre (un amico con) una gru e non hanno paura a usarla. Qui vicino ho visibili tutte le casistiche: c’è un tizio che ha messo talmente tante luminarie intorno alla casa che la gente si ferma spontaneamente con l’auto a bordo strada a fotografarvici davanti. Di primo acchito ci è rimasto male, ma ora ogni tanto fa perfino il vin brulé per i visitatori e te ne dà un bicchiere se ti fermi a fare due chiacchiere. Potere della vanità. Una matrice Ho fatto uno schema che riassume la mia personale visione etnografica delle lucine. Libero mercato, ti adoro Nella follia luminosa c’entrano l'innovazione tecnologica a basso costo, l’ecommerce e le luci LED low-cost; Instagram è stato la nitroglicerina finale: account Lucidimerda non ti temo, dice l’italiano medio. Se oggi siamo sempre su di un palcoscenico, digitale o reale, le lucine non possono fare eccezione. E dove c’è palcoscenico, arriva chi vuole fornirci tutto il necessario, per il giusto compenso liberistico, o quasi. E poi, dai, è anche tutto più sostenibile : la combo LED a basso consumo, pannelli solari integrati e il tutto-collegato-ad-Alexa permettono un risparmio energetico o almeno ce la raccontiamo. E poi le lucine ce le meritiamo, e che diamine. Perché resistere, dai. Tra Temu, Amazon, DHgate e altre turpi parti della rete si offre un assortimento infinito, che titilla la giusta creatività di ogni proprietario di balcone o di villetta a schiera. Sono solo altri 9 euro e novantanove, a volte 4 e novantanove. Devi solo ricordartene a ottobre, perché appunto il tuo atto creativo deve arrivare da Shenzhen. (Secondo un’indagine di Consumerismo No Profit (?), nel 2023 la spesa media a famiglia per albero, luci e addobbi vari era di circa 233 euro, mentre nel 2024 è salita a 270 euro. Secondo me è troppo, ma di solito sbaglio al ribasso in queste stime. Qualche altra stima va sui 100 euro a famiglia). Luci della città Gli amministratori pubblici fanno parte della competizione. I Comuni investono centinaia di milioni di euro per decorare con budget che vanno da decine di migliaia di euro per i centri minori a milioni per le grandi città come Milano e Roma. E poi naturalmente, i piccoli borghi che devono obbligatoriamente trasformarsi in piccoli presepi così-carini: una recente analisi ha mostrato che i borghi tradizionali vendono fino al 50% in più di prodotti tradizionali ai turisti, se illuminati scenograficamente. Un paio di anni fa ero in Albania a Capodanno e la cittadina in cui mi trovavo era mezza sottosopra per i lavori fognari incompiuti – ma al tunnel di luci in cui fotografarsi + baciarsi non aveva voluto rinunciare. E sapete che vi dico? Secondo me aveva ragione. L’anno scorso facevo la spesa e una coppia di persone (credo) indiane mi ha chiesto una foto. “ Qui?” ho pensato. “ Ah! Davanti alla luminaria buffa con il nome della nostra città? Ah! Con piacere! ”. Sono andati via tutti contenti e io mi sono un po’ vergognato del mio cinismo. Il sindaco ha sempre ragione, conosce i suoi polli, anche quelli nuovi. Trafiletto morale Che poi, se ci pensate, c’è qualcosa di più insensato delle luminarie? A che servono realmente? Gli economisti impazziscono per queste assurdità umane, non se ne fanno una ragione. Però fanno compagnia , cosa che nel PIL non viene evidenziata. Lucine, e tac! subito l’umore cambia. Si risparmia in psicofarmaci a carico del SSN, caro economista. Non è un caso che molti bar e ristoranti oggi usino tutto l’anno luminarie platealmente nate come luci delle feste. Fa emozione . Inspiegabile, ok, ma lo fa. E l’emozione fa scontrini. Un sociologo direbbe che le lucette “riflettono i valori, le aspirazioni e persino le insicurezze di una società”. Le vogliamo in segno di vitalità economica e ottimismo: finché c’è lucina c’è speranza. Adoro poi i brand che sponsorizzano alberi e lucine pubbliche. Secondo me hanno capito tutto: si associa il proprio brand alla felicità. E ora: Alexa, accendi la mia cascata di luci ! E ho comprato un pacco da 24 pile AAA da Amazon Basic. Mamma, tiè! Il marketing insegnato dai negozianti Un precisino. (di @amareggiata su IG) Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni varie * La scorsa settimana ho descritto come fare un post virale per caso su Linkedin, usando la AI, parlando della AI. È complicato da spiegare, dovresti leggerlo . * Ho partecipato alla trasmissione Laser della Radio della Svizzera Italiana, condotta da Rachele Bianchi-Porro, sulla regressione infantile collettiva consumistica dei calendari dell’Avvento: il titolo della puntata è “Finestrelle sull’infanzia”. Si ascolta qui . That’s all folks! Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba. Per analizzare la strategia, l’organizzazione e il budget o invitarmi a parlare, e per essere sponsor basta rispondere alla mail. Grazie ancora a Traininpink. E se ti è piaciuta, inoltrala in giro. ciao, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: la risposta corretta è A) 500.000 (fonte Glimpse ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Ehi, prima di scrollare aspetta un attimo! * Ho deciso di fare un’asta benefica: in questo modulo puoi fare un’offerta per essere sponsor di due uscite pre-natalizie. Il ricavato (io metto anche l’IVA) andrà a Emergency pro Palestina. Candidature aperte fino a domenica sera alle 23:59. * Ho cambiato il referral game per festeggiare le 20.000 iscrizioni, che con il metodo del link Substack non funziona bene. Per vincerlo devi inoltrare questa mail a tutto l’ufficio marketing - e mandarmi una foto mentre lo fai (cancella i loro nomi). Si vincono fidget spinner brandizzati [mini]marketing , molto trash . Sei tra le 25.000 persone iscritte qui, su LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 4,5 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentarti nella newsletter? Dai un’occhiata alle info per sponsorizzare nel 2025. Il quiz della settimana Quale strategia è più indicata per un prodotto premium con un alto valore percepito e un target di nicchia? A) Distribuzione intensiva B) Distribuzione selettiva C) Distribuzione esclusiva D) Distribuzione diretta Risposta in fondo. LinkedIn è il regno dell’AI Qualche giorno fa scopro un articolo che sostiene già nel titolo che il 50% di tutti i post di LinkedIn siano più o meno generati dalla AI, soprattutto quelli lunghi ed elaborati, che sono quelli che hanno più possibilità di diventare virali, come si sa bene in giro. Siccome lì per lì non ho tempo di leggerlo tutto, lo faccio riassumere dalla AI. Il riassunto è così buono che mi viene in mente un diabolico esperimento: postare su LinkedIn il riassunto, creato dalla AI, di un articolo che parla di generazione di post con l’AI su LinkedIn. Ho imparato nel tempo che su LinkedIn può succedere qualunque cosa: ti impegni a scrivere qualcosa di intelligente, e la reach è deludente. Scrivi una sciocchezza, e l’algoritmo nota che la cosa funziona, e la trasforma in una hit assoluta (per i miei numeri, parliamo sempre di migliaia di visualizzazioni). Può essere che mi aspetti troppo dall’utente di LinkedIn e che l’algoritmo abbia ragione. Probabilmente è così. Ma non importa, proseguiamo. Ovviamente, per massimizzare le views lo incollo pari pari, e inserisco il link nel famigerato primo commento come ci insegnano (anche se è un garnde dipende, ne ho parlato qui ). Alla fine del post e nel commento con link inserisco l’informazione/disclaimer che il post è stato generato al 100% dalla AI. Prevedo che non succeda niente di che, anche se inconsciamente, dopo decenni di internet, so che a) parlare male di una piattaforma (o male di una piattaforma rivale) su quella stessa piattaforma funziona sempre b) accusare implicitamente metà della popolazione di quella piattaforma di usare la AI, e quindi di barare, potrebbe essere un trigger point di pregio. Come nella più remota delle ipotesi succede un disastro: quel post che mi aveva richiesto circa 20 secondi in tutto è diventato il mio post con più successo di tutto il 2024, e al momento è arrivato a superare le 25.000 visualizzazioni. Mi sono sentito come penso si senta una banana di Cattelan. Ero un truffatore di views o un artista geniale che aveva creato un’installazione digitale? E il lamento “ci potevo riuscire anche io” dunque poteva essere applicato anche stavolta, come per l’arte contemporanea? Qualcuno mi scrive nei commenti che era stupito (quasi deluso!) per quella strana scrittura anonima, impersonale, priva di spigoli, conoscendo come scrivo di solito. Ero impazzito? Perché avevo scritto “tuttavia”? E quell’inciso "non è priva di critiche" poi? I post “virali” di LinkedIn, come tutti i contenuti virali, vanno per definizione a finire a contatto con persone che non sanno chi sei e (mi pare) manco gli interessa, e quindi non riconoscono il contesto originale o il mood dell’autore con cui questi contenuti devono essere letti. Questi non hanno colto minimamente che quel post era una banana attaccata con lo scotch. L’hanno mangiata e basta. Moltissimi dunque non conoscendo la mia scrittura abituale (che esercito quasi solo nella newsletter, oltre che in “Svuota il carrello” e nel mio prossimo libro) non se ne sono accorti e, come il 90% che non ha letto il disclaimer in fondo, l’hanno semplicemente trovato a) un articolo interessante, b) nella media, o c) trascurabile e stop. Un normale mediocre articolo di LinkedIn. Qualcuno ha commentato in modo elaborato, ma scrivendo onestamente che anche il commento era stato messo in bella copia da ChatGPT, a partire da tre o quattro parole chiave. E che questa era vera libertà espressiva per la classe labour, ingegneristica, meccanica di LinkedIn, abituata a lavorare di ferro e numeri e non a scrivere. (Secondo me il ragionamento ha punti a favore.) Altri hanno barato , commentando elaboratamente ma con dei “tuttavia” sospetti. Ma chi sono io per giudicare? Io ci ho fatto il post con l’AI, addirittura. Il problema, come dice Nicola Bonora , non è che ChatGPT scriva impersonalmente bene, è che scrive meglio degli umani impersonali di LinkedIn. Giorgia Fumo , che del resto è una brava Data Driven Comedian, piazza la punch line vincente (ehi, Chiara Galeazzi, hai visto che ti ascoltavo, al corso?) su di un setup che avevo involontariamente creato: “I post scritti con l’AI si riconoscono perché non iniziano con una lamentela.” Qualcuno ha rifinito il concetto scrivendo “o con una auto-lode”. Altri hanno semplicemente detto che se glielo chiediamo, ChatGPT farà anche quello. Avevo preso in giro l’algoritmo? O in realtà ho eseguito quello che voleva l’algoritmo, che se ne frega di chi scrive ciò che triggera e quindi circola di più? A questo punto, pensavo, perché LinkedIn non se li crea da solo? Di certo LinkedIn non se ne accorge, o molto probabilmente non gli interessa. Poi ci ho pensato, al perché. Non se li crea da solo perché il fatto di avere una storia, un corpo, un passato, una persona più che una personalità, più che una reputazione, nell’epoca in cui le macchine scrivono meglio degli uomini, è l’unica risorsa che LinkedIn ancora può sfruttare da noi, dal fatto che stiamo qui a lodarci, a creare post anonimi, a lamentarci in modo AI-generated. LinkedIn ha bisogno (perché noi ne abbiamo bisogno) di sapere che in questo oceano di mediocrità almeno noi utenti siamo in carne e ossa, anche che se le nostre parole sono artificiali. A quelle ci ha/siamo abituati, ce lo aspettiamo. La conclusione del pezzo originale è probabilmente il 90% dei motivi per cui vale la pena leggerlo tutto . Il marketing insegnato dai negozianti Qui Roma. Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni varie * La scorsa newsletter ho parlato di un’altra presunta morte del funnel, che però fa come i lombrichi, se lo tagli se ne formano due o tre . * È uscito un mio pezzo “back to reality” sulla strategia omnicanale e come perseguirla realisticamente, per il magazine di Eco Della Stampa. * Ho partecipato alla trasmissione Laser della Radio della Svizzera Italiana, condotta da Rachele Bianchi-Porro, sulla regressione infantile collettiva consumistica dei calendari dell’Avvento: il titolo della puntata è “Finestrelle sull’infanzia”. Si ascolta qui . That’s all folks! Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba. Per analizzare la strategia, l’organizzazione e il budget o invitarmi a parlare, e per essere sponsor basta rispondere alla mail. E se ti è piaciuta, inoltrala. ciao, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: la risposta corretta è C) Distribuzione esclusiva. Kotler dixit: la distribuzione esclusiva limita i punti vendita, rafforzando l’immagine di lusso e unicità di un prodotto premium, creando un valore percepito più alto e mantenendo il controllo sul posizionamento. This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Parliamo di dynamic pricing, e di un futuro ineluttabile in cui i prezzi saranno fluidi. This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it
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Si dice che se cerchi troppe motivazioni diverse per decidere se prendere o no una decisione, significa che non sei davvero convinto. Allo stesso modo funziona anche per i possibili segmenti target. Se diamo troppe motivazioni per sceglierci, almeno in un primo momento/fase del funnel, non saremo davvero convincenti per niente/nessuno, anche perché noi in primis non siamo davvero sicuri (o diamo l’impressione di non essere davvero sicuri) di fornire il servizio giusto per quel segmento target. Per tabelle e link vari visita la pagina della newsletter. Grazie a Channable per il supporto This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Il data driven e l'automatizzazione dei processi nel funnel sono tra le grandi sfide per chi si occupa di digital marketing. Peccato che, analizzando solo le piattaforme, rischiamo di dimenticarci un elemento fondamentale: il cliente. Come evitare quindi questo spiacevole inconveniente? Concentrandoci di più sul Customer Journey e non sul Funnel. Courtesy of Clickable This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
1 Quale strategia digitale per i player dell'arredamento 1:02:08
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In questa puntata, tratta dal podcast Digital Roadmaps di Websolute , si è parlato di come i brand possono usare i marketplace, e di come non farsi usare . Seguite Digital Roadmaps da questo link This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Come mixare eventi fisici, di nicchia e di massa, ed eventi digitali nell'acquisizione e nell'engagement di clienti: è l'event marketing. Il contenuto audio video originale è su https://www.kampaay.com/eventalks-podcast La produzione è un contenuto originale di https://www.kampaay.com per gentile concessione. This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
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