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La NOTTE in cui SHEVCHENKO segnò una TRIPLETTA al Camp Nou ||| La scoperta di un FENOMENO

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La sera del 5 novembre 1997, Italo Galbiati, storico vice allenatore di Fabio Capello, è seduto sulle tribune del Camp Nou di Barcelona. Il report che invia ad Adriano Galliani racconta di un giocatore favoloso, un vero e proprio crack che è esploso quella notte. “Gioca su tutto il fronte di attacco, sa chiamare la profondità come pochi”. Sette righe che il numero due di Don Fabio, carico di entusiasmo spedisce subito a Milano. La frase che infila al termine del dispaccio sembra quasi voler sollecitare l’ad dei rossoneri. Come ad invitarlo a prenderlo al più presto. Quel giovane centravanti, però, non è uno dei talenti della cantera blaugrana. Gioca per una squadra di sconosciuti, guidati da un tecnico leggendario, che è incredibilmente in testa al girone C di Champions League. Due settimane prima hanno battuto i catalani di Van Gaal per 3 a 0, ma la notte del 5 novembre passa direttamente nella leggenda. Già, perché la Dinamo Kiev di Valery Lobanovsky asfalta per 4 a 0 il Barcellona in casa propria, dominando per novanta minuti. E tre gol, tutti nel primo tempo, li segna lui. L’attaccante che ha fatto innamorare Galbiati e presto tutti i tifosi del Diavolo. Si chiama Andriy Shevchenko. Le origini Questa, però, non è solo la storia della nascita di uno dei più grandi bomber di sempre. È la storia di un ragazzo costretto, insieme alla famiglia, a scappare di casa. Un ragazzo che tornerà a Kiev e diventerà un’icona del calcio ucraino, ma non solo. Ed è anche la storia di una squadra che, sul finire degli anni ’90, era considerata come l’outsider più pericolosa d’Europa. Shevchenko nasce nei dintorni della capitale. La sua esistenza di bambino trascorre serena, fino al 26 aprile del 1986. Quella notte, nella vicina centrale di Chernobyl avviene il più grande disastro nucleare della storia e la famiglia di Andriy deve prendere una decisione dolorosa. Lasciare il villaggio natio per allontanarsi dalla radiazioni dell’esplosione. Vanno a vivere sulla costa del mar Nero, ma per il ragazzino cambia poco. È sempre attaccato alla palla e, nonostante la distanza, lo notano gli osservatori della Dinamo Kiev, che lo riportano nella capitale. Entra nelle giovanili biancoblu e, a 18 anni, debutta in prima squadra. Dove avviene il primo incontro fondamentale della sua carriera. Infatti, alla Dinamo, gioca un ragazzo di vent’anni che arriva dai dintorni di Donetsk. Fisicamente, è l’esatto contrario di Sheva. Basso di statura, fisico robusto, ma con un gran senso del gol. Si chiama Sergej Rebrov. I due giovani iniziano la prima stagione insieme mettendo a referto tredici gol in totale. Partono come riserve poi, poco a poco, iniziano ad entrare in pianta stabile nell’undici titolare. Quei due ragazzini terribili diverranno una delle coppie gol più prolifiche ed iconiche del calcio europeo anni ’90. Perché se lo United aveva i “Calipso Boys” Andy Cole e Dwight Yorke e la Samp aveva appena salutato i suoi “Gemelli del Gol” Vialli - Mancini, per pochi, ma splendenti anni, la Dinamo Kiev incanterà il continente con il duo Sheva – Rebrov. I gemelli del gol La squadra trionfa a ripetizione in campionato e nella coppa nazionale e nel 1997, per provare a fare il definitivo salto di qualità in Europa viene chiamato in panchina una leggenda del calcio sovietico. Valery Lobanovsky. Eccolo il secondo incontro fondamentale nella carriera del futuro bomber milanista. Si tratta, in realtà, di un ritorno dell’ex ct della Unione Sovietica, ma questa volta il compito che deve portare a casa è molto più arduo. La Dinamo vuole entrare in una dimensione europea. Vuole giocarsela alla pari con le grandi di Italia, Germania, Inghilterra. Forte di una rosa che vede Shovkovsky in porta, il mediano Gusin a centrocampo e i giovani bomber a metterla in porta davanti come colonne di un team che è pronto a dare battaglia in Champions. Non è solo consapevolezza nei propri mezzi. Il cammino che gli ucraini affrontano in Europa nella stagione 1997 – 98 è condito da una vogl
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La sera del 5 novembre 1997, Italo Galbiati, storico vice allenatore di Fabio Capello, è seduto sulle tribune del Camp Nou di Barcelona. Il report che invia ad Adriano Galliani racconta di un giocatore favoloso, un vero e proprio crack che è esploso quella notte. “Gioca su tutto il fronte di attacco, sa chiamare la profondità come pochi”. Sette righe che il numero due di Don Fabio, carico di entusiasmo spedisce subito a Milano. La frase che infila al termine del dispaccio sembra quasi voler sollecitare l’ad dei rossoneri. Come ad invitarlo a prenderlo al più presto. Quel giovane centravanti, però, non è uno dei talenti della cantera blaugrana. Gioca per una squadra di sconosciuti, guidati da un tecnico leggendario, che è incredibilmente in testa al girone C di Champions League. Due settimane prima hanno battuto i catalani di Van Gaal per 3 a 0, ma la notte del 5 novembre passa direttamente nella leggenda. Già, perché la Dinamo Kiev di Valery Lobanovsky asfalta per 4 a 0 il Barcellona in casa propria, dominando per novanta minuti. E tre gol, tutti nel primo tempo, li segna lui. L’attaccante che ha fatto innamorare Galbiati e presto tutti i tifosi del Diavolo. Si chiama Andriy Shevchenko. Le origini Questa, però, non è solo la storia della nascita di uno dei più grandi bomber di sempre. È la storia di un ragazzo costretto, insieme alla famiglia, a scappare di casa. Un ragazzo che tornerà a Kiev e diventerà un’icona del calcio ucraino, ma non solo. Ed è anche la storia di una squadra che, sul finire degli anni ’90, era considerata come l’outsider più pericolosa d’Europa. Shevchenko nasce nei dintorni della capitale. La sua esistenza di bambino trascorre serena, fino al 26 aprile del 1986. Quella notte, nella vicina centrale di Chernobyl avviene il più grande disastro nucleare della storia e la famiglia di Andriy deve prendere una decisione dolorosa. Lasciare il villaggio natio per allontanarsi dalla radiazioni dell’esplosione. Vanno a vivere sulla costa del mar Nero, ma per il ragazzino cambia poco. È sempre attaccato alla palla e, nonostante la distanza, lo notano gli osservatori della Dinamo Kiev, che lo riportano nella capitale. Entra nelle giovanili biancoblu e, a 18 anni, debutta in prima squadra. Dove avviene il primo incontro fondamentale della sua carriera. Infatti, alla Dinamo, gioca un ragazzo di vent’anni che arriva dai dintorni di Donetsk. Fisicamente, è l’esatto contrario di Sheva. Basso di statura, fisico robusto, ma con un gran senso del gol. Si chiama Sergej Rebrov. I due giovani iniziano la prima stagione insieme mettendo a referto tredici gol in totale. Partono come riserve poi, poco a poco, iniziano ad entrare in pianta stabile nell’undici titolare. Quei due ragazzini terribili diverranno una delle coppie gol più prolifiche ed iconiche del calcio europeo anni ’90. Perché se lo United aveva i “Calipso Boys” Andy Cole e Dwight Yorke e la Samp aveva appena salutato i suoi “Gemelli del Gol” Vialli - Mancini, per pochi, ma splendenti anni, la Dinamo Kiev incanterà il continente con il duo Sheva – Rebrov. I gemelli del gol La squadra trionfa a ripetizione in campionato e nella coppa nazionale e nel 1997, per provare a fare il definitivo salto di qualità in Europa viene chiamato in panchina una leggenda del calcio sovietico. Valery Lobanovsky. Eccolo il secondo incontro fondamentale nella carriera del futuro bomber milanista. Si tratta, in realtà, di un ritorno dell’ex ct della Unione Sovietica, ma questa volta il compito che deve portare a casa è molto più arduo. La Dinamo vuole entrare in una dimensione europea. Vuole giocarsela alla pari con le grandi di Italia, Germania, Inghilterra. Forte di una rosa che vede Shovkovsky in porta, il mediano Gusin a centrocampo e i giovani bomber a metterla in porta davanti come colonne di un team che è pronto a dare battaglia in Champions. Non è solo consapevolezza nei propri mezzi. Il cammino che gli ucraini affrontano in Europa nella stagione 1997 – 98 è condito da una vogl
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