Parole in Viaggio - puntata #3
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Buonasera a tutti da Parole in Viaggio; siamo giunti al terzo appuntamento della nostra rubrica radiofonica dedicata alle parole. In queste ultime settimane tutti i media hanno raccontato e mostrato molti fatti legati ai migranti, persone che in diversi modi stanno provando a fuggire dal loro paese d’origine. Migrare infatti significa proprio questo, andare via dal proprio paese per recarsi in un altro, la radice MI in più lingue indica il movimento, la spinta, il camminare verso una meta. Non è quindi uno spostamento casuale, non si tratta di un semplice movimento senza causa. La migrazione ha uno scopo ben definito, tende a risolvere un problema che sta all’origine. La natura, ancor prima dell’uomo, ci ricorda come alcuni animali abbandonano il luogo nel momento in cui percepiscono che potrebbe divenire insostenibile. C’è una sensazione di base che spinge l’animale ad andarsene in un luogo ben definito, dove clima, flora e fauna permettono la continuazione della specie. È un istinto che l’animale porta dentro di sé e l’uomo come appartenente al genere animale non è da meno. Sebbene la società del benessere tende a sopprimere gli istinti animali in favore di bisogni secondari il più delle volte inesistenti, talvolta le situazioni più ostiche costringono l’uomo ad agire secondo sensazioni che sente dentro, l’istinto appunto. E nel momento di insuperabili difficoltà l’istinto è la componente dominante, fino a prendere decisioni estreme: abbandonare la propria casa, il proprio Paese, la propria lingua non si attuano senza un motivo ben preciso. Lo possiamo chiamare guerra, povertà, fame o con qualsiasi altro nome; di sicuro è sempre un motivo valido per mettere in moto l’istinto a sopravvivere. Il migrante abbandona tutto, e forse a volte non è sufficientemente chiaro, abbandona anche se stesso, la sua persona, i suoi sogni, le aspettative, gli affetti nel momento in cui decide di salire in uno di quei barconi dove non c’è spazio nemmeno per l’anima, o in una di quelle jeep che attraversano il deserto disintegrando ogni traccia di umanità. Perché una persona dovrebbe mettersi in viaggio e abbandonare la sua vita passata? A volte basta poco, uno specchio e un’immagine riflessa. Dico specchio perché è una di quelle parole magiche che i latini ci hanno lasciato: Speculum in latino significa letteralmente “ciò che serve per guardare”. È uno strumento che mi permette di osservare meglio qualcosa. E in generale la cosa che solitamente guardiamo è la nostra immagine riflessa. È importante sottolineare che non siamo noi quelli riflessi, è semplicemente un’immagine che parla di me, ma non sono io. Esiste una sottile differenza che mi permette di creare il giusto distacco per osservare quell’immagine e pensare a me. Lo specchio ci porta ad una riflessione, sia di immagine sia di pensiero. E dal pensiero nasce una sensazione che qualcosa è diverso, che qualcosa non è così come l’immaginavo. È una sensazione strana che i Subsonica riassumono così “sai qui tutto si è ristretto, la gioia, il tempo, lo spazio, sentimento”. CANZONE SUBSONICA – SPECCHIO E questo senso di restrizione più è grande più si tramuta in qualcosa che non è più tollerabile. Ci si accorge che non si può più vivere così e l’istinto prevale fino a decidere. Abbandono, lascio casa ed affetti. Lo specchio mi ha mostrato un’immagine che non vorrei più rivedere. E se questo è il processo che affligge migliaia di persone che decidono di partire per il viaggio, non è poi tanto diverso dalla visione che abbiamo noi di questi migranti. I nostri media in fin dei conti altro non fanno che inviarci un’immagine, tra filmati, parole e foto di questo fenomeno migratorio. Ci raccontano, ci mostrano in primo piano i protagonisti e le loro storie, barconi, centri di accoglienza, eventi tragici, disgrazie. Tutto questo diventa per noi uno Speculum, uno strumento che serve a guardare. E cosa vediamo noi? La loro povertà? La disperazione? La follia di una scelta? La guerra n
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