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Come creare un’azienda vitivinicola nella tenuta di famiglia e finire sul Guardian – con Camilla Rossi Chauvenet di Massimago

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Per il vino italiano si parla spesso di sfida dell’innovazione mentre è assai più raro trovare degli esempi di innovazione, di startup del vino, di giovani alla guida delle aziende del settore. Nell’ultima puntata dell’anno a Wine Internet Marketing Podcast parliamo con Camilla Rossi-Chauvenet di Massimago che The Guardian ha segnalato tra le aziende più innovative del Valpolicella. Ci racconta il suo modo di creare un’azienda vitivinicola nella tenuta di famiglia.

Ho pensato a un Amarone più verticale di quello che siamo abituati a conoscere. Ma la mia sfida è comunicare che la campagna è sexy e trasformare la cantina in luogo di ritrovo. Io per prima avevo considerato la campagna noiosa, e quindi per prima mi ero resa conto che era difficilissimo comunicare, anche banalmente ai miei amici o alle persone che conoscevo, che il mio era un lavoro bellissimo e che la cantina è un posto da vivere. Questa cosa si può fare solo coinvolgendo le persone, spingendole a provare un’esperienza fisica.

Camilla Camilla Rossi-Chauvenet

Massimago

Massimago su The Guardian

Puoi ascoltare l’intervista audio, cliccando in alto in questo articolo. Qui sotto c’è la completa trascrizione.

Bentrovati, dunque. Si dice spesso che una delle sfide del vino è di innovare, di essere giovane, di saper parlare ai giovani. Per questo, oggi, credo che a Wine Internet Marketing abbiamo proprio la persona giusta. Perché oggi parliamo con Camilla Rossi-Chauvenet di Massimago, che anche il Guardian ha segnalato tra le aziende più innovative del Valpolicella.

Benvenuta, Camilla.

Camilla: Grazie, grazie!

Stefano: Ciao Camilla. Allora, dico due cose di te, che leggo, insomma, sei nata a Verona nel 1984, quindi sei giovanissima, hai studiato Scienze e tecnologie agrarie a Padova, al Politécnico di Madrid e all’École nationale supérieure agronomique di Montpellier. Poi hai trasformato la tenuta di famiglia, appunto, in Valpolicella, in un’azienda vinicola nel 2003… è corretto? Quando avevi solo 20 anni?

Camilla: Sì. Corretto, corretto.

Stefano: Allora, intanto Camilla… ti ho sentito raccontarti, presentarti come “una contadina in una famiglia di avvocati”, è così, giusto?

Camilla: Sì, è così. Nella mia famiglia sono quasi tutti astemi, quindi il mondo del vino era molto lontano…

Stefano: Astemi, addirittura!

Camilla: Sì, sì. Poi adesso tutti si sono un po’ lasciati trasportare e quindi in questo momento stanno facendo un corso di sommelier, e quindi li ho convertiti, sono riuscita a convertirli! Però anch’io, anche la mia storia inizia quando avevo 18 anni, proprio grazie ad un corso di sommelier, quindi ho frequentato l’AIS e un po’ per curiosità, ero fanatica, proprio di profumi, quindi non vedevo l’ora di poter capire qualcosa in più sul vino, e il corso di sommelier, poi, è stata la porta che si è spalancata e mi ha trascinata poi nel mondo del vino. Quindi, sai, a 18 anni, quando non sai bene poi cosa sarà della tua vita, il fatto di fare un corso così, per me è stato veramente molto affascinante, e poi mi ha aiutato anche nella scelta dell’università, quindi dove avrei studiato e che cosa avrei fatto poi nella vita.

Stefano: Quindi, a 18 anni avevi già in mente il vino, in quel periodo lì, dopo il corso di sommelier hai detto “io farò il vino” …

Camilla: Sì! Ero un po’ spaventata, l’ammetto, perché il mondo del vino è così… enorme: è un po’ come entrare in una libreria e sai esattamente che non riuscirai a finire tutti i libri, perché ogni anno, ogni giorno escono migliaia di libri nuovi. E la stessa cosa è il mondo del vino, nel senso che ti senti inerme, sai di essere profondamente ignorante… io poi, che venivo da una famiglia di astemi era forse anche più complesso, quindi ero stregata e allo stesso tempo un po’ anche spaventata da questo mondo, però poi, un po’ alla volta, grazie agli studi, ma soprattutto a varie conoscenze, studi approfonditi, magari nel mondo del vino, poi ho parlato con altri colleghi, quindi, un po’ alla volta… però, ti assicuro, che non è stata una passeggiata, soprattutto all’inizio, quando non sai esattamente qual è neanche la quotidianità di un produttore di vino, no? Quindi… sì, ero io e il mezzadro, ci guardavamo negli occhi e dicevamo: “Bene… ora? Che si fa?”, però un po’ alla volta ho capito proprio, anno dopo anno… infatti noi siamo partiti con mille bottiglie quasi per scherzo, c’era già questa…

Stefano: Senti, ci dicevi intanto “ero io e il mezzadro”: ecco, raccontaci di Massimago all’inizio, poi diciamo anche adesso, che fai i numeri, insomma… dove siete, intanto? Proviamo a spiegarlo meglio.

Camilla: Allora, Massimago è a Mezzane di Sotto, quindi nella Valpolicella, io la chiamo la più selvaggia, perché rispetto alla zona classica, che è verso il nord di Verona, Mezzane è più nell’est veronese, e quindi è una zona che è ancora inalterata dal punto di vista anche paesaggistico, quindi ci sono meno fabbriche… cioè, è puramente agricola, è una valle profondamente agricola e quindi, anche i paesaggi…

Stefano: Avete la foresta, vicino…

Camilla: Sì, sì. Massimago è proprio, probabilmente, l’unica proprietà che ha ancora, lì, nel suo interno, una foresta intatta. E questo per noi è sempre stato un grande valore, perché anche Massimago, tra l’altro, ha una storia incredibile, perché, a partire dalla mia famiglia, dal 1883, ma il suo nome, Massimago, deriva da Maximum Agium, che in latino significa Massimo benessere, beneficio, produttività. E questo è perché è il nome di questa località che rimane intatta, appunto, dall’epoca dei Romani, ed è il nome di questa località da sempre, quindi è interessante come poi anche nella donazione, sia emerso come questo sia in realtà un cru, un unico cru. Poi ci ha portato a come cercare di valorizzare questa tenuta, cercando di mantenere poi, per esempio, l’aspetto mediologico, la sostenibilità, tutti questi… sono state fatte delle scelte legate poi anche al latifondo in sé, nel senso che essendo così chiuso, ci poteva permettere di fare, appunto, il biologico, la sostenibilità vista la distanza dai nostri vicini, e quindi tutta poi una serie di scelte che poi sono state fatte proprio per mantenere e valorizzare questa unicità.

Stefano: Ok, dunque, di fatto c’era già una tenuta, ci hai raccontato, perché, ecco… sul Guardian, leggo, hai dichiarato che non è una vecchia, insomma, un old-fashioned winery, no? “Non stavamo cercando di copiare il vino del nonno” … e quindi, quando tu hai cominciato Massimago, questa tenuta che arrivava dalla famiglia, ma che volevi fare una cosa nuova… come si fa a fare una tenuta nuova senza copiare l’idea che arrivava dal vino del nonno?

Camilla: No, guarda, in realtà… ovviamente noi abbiamo avuto un’enorme fortuna a già ereditare questi terreni. Però, come in tutte le start-up, come in tutte le aziende nuove…

Stefano: …start-up: è una parola che sentiamo raramente…

Camilla: sì, infatti per me è stata veramente una scelta anche un po’ in controtendenza, perché nel mondo del vino, come ben sappiamo, bisogna ereditare i terreni da nonni, bisnonni… quindi ci vuole una cultura nel vino, ci vuole un’esperienza di almeno cinquanta vendemmie che, se guardiamo, sono cinquanta anni… e quindi, in questo senso, io volevo provare, volevo provarci in ogni caso e dimostrare, non solo a me stessa ma anche ai miei coetanei che sì, ovviamente io, avendo già i terreni era molto più facile, però volevo dimostrare che era possibile, che non solo gli australiani o i neozelandesi potevano creare una cantina da zero. E questo per me era possibile solo creando un’identità forte, quindi avere delle idee chiare, ben chiare in testa.

Stefano: E qual è stata quest’identità nuova che hai potuto creare?

Camilla: Bravissimo. Per me era intanto… guarda, io ho studiato all’estero, quindi, quando sono tornata poi in Italia, per me, assaggiare l’Amarone Valpolicella è stato un po’ uno shock, perché in Francia i vini sono molto più secchi, molto più minerali, quindi quando sono tornata, l’idea era appunto quella di produrre Amarone, mi sono prima confrontata con i vini del mercato, quindi questi vini molto piacioni… comunque, anche dieci anni fa forse lo erano ancora di più rispetto ad ora. Quindi, la mia idea era, dal punto di vista, poi, del prodotto, creare un prodotto che fosse diverso dagli altri, non volevo fare la follower, quindi cercare di copiare i grandi produttori, e quindi in questo senso volevo creare la mia identità dal punto di vista di prodotto. E quindi ho cercato di assecondare, ovviamente, le caratteristiche identitarie di Massimago, quindi la balsamicità, le spezie, ma anche quest’eleganza che è legata anche ad un vino che non vuole essere piacione, ma vuole essere un vino più verticale, se vogliamo… meno amabile, che forse era un po’ il vino della tradizione, quindi quello che, non so, la Quintarelli, diciamo così…

Stefano: Quindi oggi Massimago che tipi di vini fa? Avete una gamma piuttosto limitata, direi: poche cose…

Camilla: Sì, piuttosto limitata perché, di nuovo, la scelta di non fare, per esempio, il Ripasso, è, anche questa, una scelta un po’ talebana, perché sicuramente il Ripasso in questo momento funziona bene, quindi… eppure, per me il Valpolicella superiore rappresenta un’identità forse maggiore rispetto al Ripasso: è una scelta, ovviamente… ogni produttore fa le sue scelte, però, se parliamo di identità, di vini e di territorio, il Valpolicella superiore, secondo me, rappresenta di più le caratteristiche della Valpolicella… il Ripasso, forse… sì, non è il tipo di prodotto che sicuramente può esprimere le mie idee, ecco, sì.

Stefano: E poi, che altri vini fate, giusto per…?

Camilla: Noi produciamo Valpolicella, un Valpolicella superiore ed un Amarone. Poi, in questi anni ho sperimentato varie… ho provato a realizzare un Salasso di Valpolicella, quindi un rosè fermo, secco… uno spumante, uno Charmat lungo, di Corvina, otto mesi sui lieviti, quindi un brut – che è il Magò – e poi abbiamo provato a fare anche una Garganega___ (11:26) da 1200 piante di garganega. Però questi sono piccoli numeri, sono un po’ il mio divertissement, che sono poi le etichette che mi hanno aiutata a crescere.

Stefano: Quante bottiglie fate in tutto?

Camilla: Di questi? Pochissimi: di questi, 3000/5000 bottiglie.

Stefano: In tutto?

Camilla: No, no, no, per ogni referenza, però…

Stefano: No, dico, Massimago in tutto che numeri ha?

Camilla: In tutto sono più o meno 80mila bottiglie…

Stefano: 80mila, ok. Di cui la maggior parte, immagino, Amarone, giusto?

Camilla: Sì. Sì, sì, giusto. Principalmente i vini rossi.

Stefano: Ok, quindi ci hai detto di questa identità particolare sui vini, il biologico, ti ho sentito dire anche come metodo, vero, anche…

Camilla: Sì, sì, è stata una scelta che abbiamo fatto proprio perché il territorio ce lo permetteva, nel senso che non abbiamo contaminazioni, effetto deriva, perché siamo completamente circondati da valli naturali e da bosco. Poi, l’innovazione, in sé e per sé, non è tanto, appunto, il prodotto perché, come dicevamo, tutti sono in grado di produrre un prodotto diverso, ma l’innovazione, forse, è una visione diversa del prodotto: io ho sempre visto il vino più che come un prodotto, come un mezzo di comunicazione, quindi anche per me, l’aspetto dei social, piuttosto che di altri progetti che stiamo portando avanti, come Sinestesia, come Wine4Thought, quindi…

Stefano: Che progetti sono?

Camilla: Sono dei progetti che proprio cercano di coinvolgere il consumatore, in modo da coinvolgerlo nelle scelte che abbiamo noi in cantina, poi, per esempio, di coinvolgerlo per quanto riguarda l’aspetto didattico… sul nostro sito, vedrai, c’è un video di questa vendemmia del 2015, noi ogni anno cerchiamo di coinvolgere il consumatore, cioè i nostri follower, a seguirci poi nelle varie fasi della vinificazione, e quindi non solo in cantina, quindi in cantina poi quest’anno abbiamo fatto la vendemmia pigiando l’uva con i piedi, come gli altri anni, ma anche al di fuori della cantina, quindi, per esempio a Milano, attraverso Wine4Thought, che è questo progetto, siamo riusciti a coinvolgere anche dei famosi giornalisti come Beppe Severgnini, come la Di__ google, la ___ di twitter… quest’anno, abbiamo riunito queste persone, appunto, che ci seguono a Milano e abbiamo creato una riunione ogni due mesi per parlare di leadership, di come quindi il vino sia un connettore di idee, quindi, per esempio, in queste riunioni, si beveva il vino prima, e non dopo, e si cercava di parlare anche di altri aspetti, quindi la contaminazione con altri mondi, con altri settori: per noi il vino è questo, non è solo… spesso, anche i grandi progetti, i grandi contratti si firmano davanti ad una bottiglia di vino…

Stefano: Quindi avete avuto metodo in questa cosa… anche come metodo, così, di lavoro, e di racconto di chi siete e di che cosa fate…Un’altra cosa che ti ho sentito dire è “la campagna è sexy”. Ora, Camilla è una ragazza giovane e la potete trovare sui social, quindi è anche più semplice dire questa cosa, ma, in effetti, in quello che ci stai raccontando, nel tentativo di comunicare ad un pubblico anche più giovane, il vino, c’è sicuramente questa necessità di raccontare la campagna come qualcosa di “sexy”, nel senso più ampio del termine… ecco, come si fa a comunicare la campagna come una cosa bella, sexy, o comunque attraente?

Camilla: Eh, guarda, è stata la mia prima domanda, nel senso che da quando ho iniziato così, a cimentarmi in questo nuovo progetto, per me era la cosa più importante, forse, no? Proprio perché per prima avevo considerato la campagna noiosa, e quindi per prima mi ero resa conto che era difficilissimo comunicare, ma anche, banalmente, ai miei amici o alle persone che conoscevo, che il mio era un lavoro bellissimo, che era un lavoro pieno di gioia e di soddisfazione, ovviamente anche di grandi sfide. E questo è possibile solo cercando di coinvolgere le persone e facendogli provare un’esperienzialità, cioè un’esperienza fisica: io, spesso, non so, per esempio a Milano, banalmente, quando loro vengono in azienda da me, vedo la sorpresa, non so, vedo nei loro occhi la gioia di poter fruire di questi paesaggi, ma anche dell’esperienza in sé, perché per prima anch’io, da cittadina, quando sono arrivata qui, ho cominciato a capire cosa voleva dire lavorare con le mani, sporcarsi e andare nel campo, fare una fatica fisica, prettamente fisica, e ho capito che in realtà molte persone vorrebbero avere quest’opportunità. Quando si lavora dodici ore al giorno davanti al computer, in una città come Milano piuttosto che anche in città più piccole come Verona o Padova, il fatto di rimanere costantemente chiusi in una stanza, senza la possibilità di poter respirare, di vedere i colori, ma anche solo di sentire i profumi, i suoni, è veramente… ormai non siamo più abituati: io stessa abitavo in una citta, quindi, quando sono arrivata qui sono stata la prima a stupirmi di questi aspetti, quindi per me la cosa più importante non è tanto venire in campagna, perché spesso, quando anche i miei ospiti, quelli che vengono, appunto, nel nostro agriturismo, quando vengono qui, spesso pensano di stufarsi, quindi di non aver nulla da fare. E io, vivendo qui, mi sono accorta che, per esempio, la tv non la guardo più, perché ci sono migliaia di cose da fare, ed è solo vivendo che…

Stefano: Quindi, insomma, la campagna è sempre noiosa, nel modo in cui si è sempre raccontata, però c’è una voglia e una realtà di recuperare una dimensione forse un po’ più genuina e che è sempre più lontana…

Camilla: Sì, sì. Gran parte delle persone che vengono a trovarci, è perché vogliono tornare alle origini. Vogliono capire veramente dove viene vinificato questo vino, da che vigne, da che terreno, quindi c’è una grandissima curiosità anche rispetto al passato, quindi, in generale, il consumatore vuole capire da dove arriva quel vino, come viene fatto, come viene realizzato, e quindi, noi siamo qua per questo: per, anzi, coinvolgerli e trascinarli nel nostro paradiso.

Stefano: Quindi c’è un consumatore del vino che vuole capire com’è fatto quel vino, e c’è probabilmente qualcuno che è interessato alla campagna, a una dimensione più naturale della vita legata all’eccellenza del lavoro dell’uomo che incontra la natura, che forse attraverso il vino, può incontrare la natura la dimensione, quindi forse quello è un pubblico a cui si riesce a parlare, il vino può parlare in questo modo… sul vostro sito scrivete “Be part of it”: invitate le persone, proprio, attraverso il vostro vino, a riscoprire qual è questa dimensione, almeno sembra arrivare questo tipo di messaggio. E poi, ce lo dicevi anche, avete un agriturismo, e quindi vi interessa proprio che le persone vengano anche lì, per provare…

Camilla: Sì, assolutamente. Sì, perché nel momento in cui, ovviamente, vengono e si fanno migliaia di chilometri magari per raggiungerci, poi quando arrivano devi offrirgli un servizio che possa permettergli di assaggiare il vino, magari mangiando qualcosa, e questo è importante, perché spesso, nelle cantine in generale, ci si dimentica di offrire magari qualcosa di tipico, quindi dei formaggi locali piuttosto che… spesso le persone non parlano inglese perché non pensano sia necessario, e quindi per noi è importante, invece, fargli capire una dimensione diversa, quindi più… per esempio, i californiani sono bravissimi, i sudafricani sono veramente molto in gamba: sono riusciti a creare dei tour turistici [22:00—-] e noi in Italia siamo un po’ più carenti da questo punto di vista, è per questo che anch’io ho imparato dai californiani, e loro riescono veramente a creare un brand forte, quindi l’aspetto dell’enoturismo è fondamentale, e secondo me abbiamo molto da imparare…

Stefano: E poi c’è questa cosa, mi dicevi, della California, mi è venuta in mente quando sono stato lì un mese e, non so se anche tu ritrovi questa cosa, visto che tu parli anche di Milano, che un po’ può essere, non so, la San Francisco della Napa Valley, no, anche come distanze, forse, non siamo così lontani. Ed è interessante come, oltre ad un pubblico di turisti, quelli che poi magari fanno anche tantissimi chilometri, questo pubblico un po’ di prossimità che arriva dalle città, appunto, che da San Francisco nel week-end parte e visita le aziende in una maniera anche...

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Per il vino italiano si parla spesso di sfida dell’innovazione mentre è assai più raro trovare degli esempi di innovazione, di startup del vino, di giovani alla guida delle aziende del settore. Nell’ultima puntata dell’anno a Wine Internet Marketing Podcast parliamo con Camilla Rossi-Chauvenet di Massimago che The Guardian ha segnalato tra le aziende più innovative del Valpolicella. Ci racconta il suo modo di creare un’azienda vitivinicola nella tenuta di famiglia.

Ho pensato a un Amarone più verticale di quello che siamo abituati a conoscere. Ma la mia sfida è comunicare che la campagna è sexy e trasformare la cantina in luogo di ritrovo. Io per prima avevo considerato la campagna noiosa, e quindi per prima mi ero resa conto che era difficilissimo comunicare, anche banalmente ai miei amici o alle persone che conoscevo, che il mio era un lavoro bellissimo e che la cantina è un posto da vivere. Questa cosa si può fare solo coinvolgendo le persone, spingendole a provare un’esperienza fisica.

Camilla Camilla Rossi-Chauvenet

Massimago

Massimago su The Guardian

Puoi ascoltare l’intervista audio, cliccando in alto in questo articolo. Qui sotto c’è la completa trascrizione.

Bentrovati, dunque. Si dice spesso che una delle sfide del vino è di innovare, di essere giovane, di saper parlare ai giovani. Per questo, oggi, credo che a Wine Internet Marketing abbiamo proprio la persona giusta. Perché oggi parliamo con Camilla Rossi-Chauvenet di Massimago, che anche il Guardian ha segnalato tra le aziende più innovative del Valpolicella.

Benvenuta, Camilla.

Camilla: Grazie, grazie!

Stefano: Ciao Camilla. Allora, dico due cose di te, che leggo, insomma, sei nata a Verona nel 1984, quindi sei giovanissima, hai studiato Scienze e tecnologie agrarie a Padova, al Politécnico di Madrid e all’École nationale supérieure agronomique di Montpellier. Poi hai trasformato la tenuta di famiglia, appunto, in Valpolicella, in un’azienda vinicola nel 2003… è corretto? Quando avevi solo 20 anni?

Camilla: Sì. Corretto, corretto.

Stefano: Allora, intanto Camilla… ti ho sentito raccontarti, presentarti come “una contadina in una famiglia di avvocati”, è così, giusto?

Camilla: Sì, è così. Nella mia famiglia sono quasi tutti astemi, quindi il mondo del vino era molto lontano…

Stefano: Astemi, addirittura!

Camilla: Sì, sì. Poi adesso tutti si sono un po’ lasciati trasportare e quindi in questo momento stanno facendo un corso di sommelier, e quindi li ho convertiti, sono riuscita a convertirli! Però anch’io, anche la mia storia inizia quando avevo 18 anni, proprio grazie ad un corso di sommelier, quindi ho frequentato l’AIS e un po’ per curiosità, ero fanatica, proprio di profumi, quindi non vedevo l’ora di poter capire qualcosa in più sul vino, e il corso di sommelier, poi, è stata la porta che si è spalancata e mi ha trascinata poi nel mondo del vino. Quindi, sai, a 18 anni, quando non sai bene poi cosa sarà della tua vita, il fatto di fare un corso così, per me è stato veramente molto affascinante, e poi mi ha aiutato anche nella scelta dell’università, quindi dove avrei studiato e che cosa avrei fatto poi nella vita.

Stefano: Quindi, a 18 anni avevi già in mente il vino, in quel periodo lì, dopo il corso di sommelier hai detto “io farò il vino” …

Camilla: Sì! Ero un po’ spaventata, l’ammetto, perché il mondo del vino è così… enorme: è un po’ come entrare in una libreria e sai esattamente che non riuscirai a finire tutti i libri, perché ogni anno, ogni giorno escono migliaia di libri nuovi. E la stessa cosa è il mondo del vino, nel senso che ti senti inerme, sai di essere profondamente ignorante… io poi, che venivo da una famiglia di astemi era forse anche più complesso, quindi ero stregata e allo stesso tempo un po’ anche spaventata da questo mondo, però poi, un po’ alla volta, grazie agli studi, ma soprattutto a varie conoscenze, studi approfonditi, magari nel mondo del vino, poi ho parlato con altri colleghi, quindi, un po’ alla volta… però, ti assicuro, che non è stata una passeggiata, soprattutto all’inizio, quando non sai esattamente qual è neanche la quotidianità di un produttore di vino, no? Quindi… sì, ero io e il mezzadro, ci guardavamo negli occhi e dicevamo: “Bene… ora? Che si fa?”, però un po’ alla volta ho capito proprio, anno dopo anno… infatti noi siamo partiti con mille bottiglie quasi per scherzo, c’era già questa…

Stefano: Senti, ci dicevi intanto “ero io e il mezzadro”: ecco, raccontaci di Massimago all’inizio, poi diciamo anche adesso, che fai i numeri, insomma… dove siete, intanto? Proviamo a spiegarlo meglio.

Camilla: Allora, Massimago è a Mezzane di Sotto, quindi nella Valpolicella, io la chiamo la più selvaggia, perché rispetto alla zona classica, che è verso il nord di Verona, Mezzane è più nell’est veronese, e quindi è una zona che è ancora inalterata dal punto di vista anche paesaggistico, quindi ci sono meno fabbriche… cioè, è puramente agricola, è una valle profondamente agricola e quindi, anche i paesaggi…

Stefano: Avete la foresta, vicino…

Camilla: Sì, sì. Massimago è proprio, probabilmente, l’unica proprietà che ha ancora, lì, nel suo interno, una foresta intatta. E questo per noi è sempre stato un grande valore, perché anche Massimago, tra l’altro, ha una storia incredibile, perché, a partire dalla mia famiglia, dal 1883, ma il suo nome, Massimago, deriva da Maximum Agium, che in latino significa Massimo benessere, beneficio, produttività. E questo è perché è il nome di questa località che rimane intatta, appunto, dall’epoca dei Romani, ed è il nome di questa località da sempre, quindi è interessante come poi anche nella donazione, sia emerso come questo sia in realtà un cru, un unico cru. Poi ci ha portato a come cercare di valorizzare questa tenuta, cercando di mantenere poi, per esempio, l’aspetto mediologico, la sostenibilità, tutti questi… sono state fatte delle scelte legate poi anche al latifondo in sé, nel senso che essendo così chiuso, ci poteva permettere di fare, appunto, il biologico, la sostenibilità vista la distanza dai nostri vicini, e quindi tutta poi una serie di scelte che poi sono state fatte proprio per mantenere e valorizzare questa unicità.

Stefano: Ok, dunque, di fatto c’era già una tenuta, ci hai raccontato, perché, ecco… sul Guardian, leggo, hai dichiarato che non è una vecchia, insomma, un old-fashioned winery, no? “Non stavamo cercando di copiare il vino del nonno” … e quindi, quando tu hai cominciato Massimago, questa tenuta che arrivava dalla famiglia, ma che volevi fare una cosa nuova… come si fa a fare una tenuta nuova senza copiare l’idea che arrivava dal vino del nonno?

Camilla: No, guarda, in realtà… ovviamente noi abbiamo avuto un’enorme fortuna a già ereditare questi terreni. Però, come in tutte le start-up, come in tutte le aziende nuove…

Stefano: …start-up: è una parola che sentiamo raramente…

Camilla: sì, infatti per me è stata veramente una scelta anche un po’ in controtendenza, perché nel mondo del vino, come ben sappiamo, bisogna ereditare i terreni da nonni, bisnonni… quindi ci vuole una cultura nel vino, ci vuole un’esperienza di almeno cinquanta vendemmie che, se guardiamo, sono cinquanta anni… e quindi, in questo senso, io volevo provare, volevo provarci in ogni caso e dimostrare, non solo a me stessa ma anche ai miei coetanei che sì, ovviamente io, avendo già i terreni era molto più facile, però volevo dimostrare che era possibile, che non solo gli australiani o i neozelandesi potevano creare una cantina da zero. E questo per me era possibile solo creando un’identità forte, quindi avere delle idee chiare, ben chiare in testa.

Stefano: E qual è stata quest’identità nuova che hai potuto creare?

Camilla: Bravissimo. Per me era intanto… guarda, io ho studiato all’estero, quindi, quando sono tornata poi in Italia, per me, assaggiare l’Amarone Valpolicella è stato un po’ uno shock, perché in Francia i vini sono molto più secchi, molto più minerali, quindi quando sono tornata, l’idea era appunto quella di produrre Amarone, mi sono prima confrontata con i vini del mercato, quindi questi vini molto piacioni… comunque, anche dieci anni fa forse lo erano ancora di più rispetto ad ora. Quindi, la mia idea era, dal punto di vista, poi, del prodotto, creare un prodotto che fosse diverso dagli altri, non volevo fare la follower, quindi cercare di copiare i grandi produttori, e quindi in questo senso volevo creare la mia identità dal punto di vista di prodotto. E quindi ho cercato di assecondare, ovviamente, le caratteristiche identitarie di Massimago, quindi la balsamicità, le spezie, ma anche quest’eleganza che è legata anche ad un vino che non vuole essere piacione, ma vuole essere un vino più verticale, se vogliamo… meno amabile, che forse era un po’ il vino della tradizione, quindi quello che, non so, la Quintarelli, diciamo così…

Stefano: Quindi oggi Massimago che tipi di vini fa? Avete una gamma piuttosto limitata, direi: poche cose…

Camilla: Sì, piuttosto limitata perché, di nuovo, la scelta di non fare, per esempio, il Ripasso, è, anche questa, una scelta un po’ talebana, perché sicuramente il Ripasso in questo momento funziona bene, quindi… eppure, per me il Valpolicella superiore rappresenta un’identità forse maggiore rispetto al Ripasso: è una scelta, ovviamente… ogni produttore fa le sue scelte, però, se parliamo di identità, di vini e di territorio, il Valpolicella superiore, secondo me, rappresenta di più le caratteristiche della Valpolicella… il Ripasso, forse… sì, non è il tipo di prodotto che sicuramente può esprimere le mie idee, ecco, sì.

Stefano: E poi, che altri vini fate, giusto per…?

Camilla: Noi produciamo Valpolicella, un Valpolicella superiore ed un Amarone. Poi, in questi anni ho sperimentato varie… ho provato a realizzare un Salasso di Valpolicella, quindi un rosè fermo, secco… uno spumante, uno Charmat lungo, di Corvina, otto mesi sui lieviti, quindi un brut – che è il Magò – e poi abbiamo provato a fare anche una Garganega___ (11:26) da 1200 piante di garganega. Però questi sono piccoli numeri, sono un po’ il mio divertissement, che sono poi le etichette che mi hanno aiutata a crescere.

Stefano: Quante bottiglie fate in tutto?

Camilla: Di questi? Pochissimi: di questi, 3000/5000 bottiglie.

Stefano: In tutto?

Camilla: No, no, no, per ogni referenza, però…

Stefano: No, dico, Massimago in tutto che numeri ha?

Camilla: In tutto sono più o meno 80mila bottiglie…

Stefano: 80mila, ok. Di cui la maggior parte, immagino, Amarone, giusto?

Camilla: Sì. Sì, sì, giusto. Principalmente i vini rossi.

Stefano: Ok, quindi ci hai detto di questa identità particolare sui vini, il biologico, ti ho sentito dire anche come metodo, vero, anche…

Camilla: Sì, sì, è stata una scelta che abbiamo fatto proprio perché il territorio ce lo permetteva, nel senso che non abbiamo contaminazioni, effetto deriva, perché siamo completamente circondati da valli naturali e da bosco. Poi, l’innovazione, in sé e per sé, non è tanto, appunto, il prodotto perché, come dicevamo, tutti sono in grado di produrre un prodotto diverso, ma l’innovazione, forse, è una visione diversa del prodotto: io ho sempre visto il vino più che come un prodotto, come un mezzo di comunicazione, quindi anche per me, l’aspetto dei social, piuttosto che di altri progetti che stiamo portando avanti, come Sinestesia, come Wine4Thought, quindi…

Stefano: Che progetti sono?

Camilla: Sono dei progetti che proprio cercano di coinvolgere il consumatore, in modo da coinvolgerlo nelle scelte che abbiamo noi in cantina, poi, per esempio, di coinvolgerlo per quanto riguarda l’aspetto didattico… sul nostro sito, vedrai, c’è un video di questa vendemmia del 2015, noi ogni anno cerchiamo di coinvolgere il consumatore, cioè i nostri follower, a seguirci poi nelle varie fasi della vinificazione, e quindi non solo in cantina, quindi in cantina poi quest’anno abbiamo fatto la vendemmia pigiando l’uva con i piedi, come gli altri anni, ma anche al di fuori della cantina, quindi, per esempio a Milano, attraverso Wine4Thought, che è questo progetto, siamo riusciti a coinvolgere anche dei famosi giornalisti come Beppe Severgnini, come la Di__ google, la ___ di twitter… quest’anno, abbiamo riunito queste persone, appunto, che ci seguono a Milano e abbiamo creato una riunione ogni due mesi per parlare di leadership, di come quindi il vino sia un connettore di idee, quindi, per esempio, in queste riunioni, si beveva il vino prima, e non dopo, e si cercava di parlare anche di altri aspetti, quindi la contaminazione con altri mondi, con altri settori: per noi il vino è questo, non è solo… spesso, anche i grandi progetti, i grandi contratti si firmano davanti ad una bottiglia di vino…

Stefano: Quindi avete avuto metodo in questa cosa… anche come metodo, così, di lavoro, e di racconto di chi siete e di che cosa fate…Un’altra cosa che ti ho sentito dire è “la campagna è sexy”. Ora, Camilla è una ragazza giovane e la potete trovare sui social, quindi è anche più semplice dire questa cosa, ma, in effetti, in quello che ci stai raccontando, nel tentativo di comunicare ad un pubblico anche più giovane, il vino, c’è sicuramente questa necessità di raccontare la campagna come qualcosa di “sexy”, nel senso più ampio del termine… ecco, come si fa a comunicare la campagna come una cosa bella, sexy, o comunque attraente?

Camilla: Eh, guarda, è stata la mia prima domanda, nel senso che da quando ho iniziato così, a cimentarmi in questo nuovo progetto, per me era la cosa più importante, forse, no? Proprio perché per prima avevo considerato la campagna noiosa, e quindi per prima mi ero resa conto che era difficilissimo comunicare, ma anche, banalmente, ai miei amici o alle persone che conoscevo, che il mio era un lavoro bellissimo, che era un lavoro pieno di gioia e di soddisfazione, ovviamente anche di grandi sfide. E questo è possibile solo cercando di coinvolgere le persone e facendogli provare un’esperienzialità, cioè un’esperienza fisica: io, spesso, non so, per esempio a Milano, banalmente, quando loro vengono in azienda da me, vedo la sorpresa, non so, vedo nei loro occhi la gioia di poter fruire di questi paesaggi, ma anche dell’esperienza in sé, perché per prima anch’io, da cittadina, quando sono arrivata qui, ho cominciato a capire cosa voleva dire lavorare con le mani, sporcarsi e andare nel campo, fare una fatica fisica, prettamente fisica, e ho capito che in realtà molte persone vorrebbero avere quest’opportunità. Quando si lavora dodici ore al giorno davanti al computer, in una città come Milano piuttosto che anche in città più piccole come Verona o Padova, il fatto di rimanere costantemente chiusi in una stanza, senza la possibilità di poter respirare, di vedere i colori, ma anche solo di sentire i profumi, i suoni, è veramente… ormai non siamo più abituati: io stessa abitavo in una citta, quindi, quando sono arrivata qui sono stata la prima a stupirmi di questi aspetti, quindi per me la cosa più importante non è tanto venire in campagna, perché spesso, quando anche i miei ospiti, quelli che vengono, appunto, nel nostro agriturismo, quando vengono qui, spesso pensano di stufarsi, quindi di non aver nulla da fare. E io, vivendo qui, mi sono accorta che, per esempio, la tv non la guardo più, perché ci sono migliaia di cose da fare, ed è solo vivendo che…

Stefano: Quindi, insomma, la campagna è sempre noiosa, nel modo in cui si è sempre raccontata, però c’è una voglia e una realtà di recuperare una dimensione forse un po’ più genuina e che è sempre più lontana…

Camilla: Sì, sì. Gran parte delle persone che vengono a trovarci, è perché vogliono tornare alle origini. Vogliono capire veramente dove viene vinificato questo vino, da che vigne, da che terreno, quindi c’è una grandissima curiosità anche rispetto al passato, quindi, in generale, il consumatore vuole capire da dove arriva quel vino, come viene fatto, come viene realizzato, e quindi, noi siamo qua per questo: per, anzi, coinvolgerli e trascinarli nel nostro paradiso.

Stefano: Quindi c’è un consumatore del vino che vuole capire com’è fatto quel vino, e c’è probabilmente qualcuno che è interessato alla campagna, a una dimensione più naturale della vita legata all’eccellenza del lavoro dell’uomo che incontra la natura, che forse attraverso il vino, può incontrare la natura la dimensione, quindi forse quello è un pubblico a cui si riesce a parlare, il vino può parlare in questo modo… sul vostro sito scrivete “Be part of it”: invitate le persone, proprio, attraverso il vostro vino, a riscoprire qual è questa dimensione, almeno sembra arrivare questo tipo di messaggio. E poi, ce lo dicevi anche, avete un agriturismo, e quindi vi interessa proprio che le persone vengano anche lì, per provare…

Camilla: Sì, assolutamente. Sì, perché nel momento in cui, ovviamente, vengono e si fanno migliaia di chilometri magari per raggiungerci, poi quando arrivano devi offrirgli un servizio che possa permettergli di assaggiare il vino, magari mangiando qualcosa, e questo è importante, perché spesso, nelle cantine in generale, ci si dimentica di offrire magari qualcosa di tipico, quindi dei formaggi locali piuttosto che… spesso le persone non parlano inglese perché non pensano sia necessario, e quindi per noi è importante, invece, fargli capire una dimensione diversa, quindi più… per esempio, i californiani sono bravissimi, i sudafricani sono veramente molto in gamba: sono riusciti a creare dei tour turistici [22:00—-] e noi in Italia siamo un po’ più carenti da questo punto di vista, è per questo che anch’io ho imparato dai californiani, e loro riescono veramente a creare un brand forte, quindi l’aspetto dell’enoturismo è fondamentale, e secondo me abbiamo molto da imparare…

Stefano: E poi c’è questa cosa, mi dicevi, della California, mi è venuta in mente quando sono stato lì un mese e, non so se anche tu ritrovi questa cosa, visto che tu parli anche di Milano, che un po’ può essere, non so, la San Francisco della Napa Valley, no, anche come distanze, forse, non siamo così lontani. Ed è interessante come, oltre ad un pubblico di turisti, quelli che poi magari fanno anche tantissimi chilometri, questo pubblico un po’ di prossimità che arriva dalle città, appunto, che da San Francisco nel week-end parte e visita le aziende in una maniera anche...

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