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Esportare il vino italiano II: numeri e consigli – con Denis Pantini di Wine Monitor Copy

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Questo è il seguito della conversazione con Denis Pantini di Wine Monitor a proposito dell’esportare il vino italiano.

Sai, il problema più grande si è palesato durante la crisi. Prima le aziende piccole riuscivano a sopravvivere con i mercati di prossimità, la ristorazione sotto casa, le pizzerie e quindi questo permetteva anche ai più piccoli di poter vendere il loro vino. Poi, con la crisi questo canale si è fortemente ridimensionato, vuoi perché la gente andava meno al ristorante, vuoi perché gli stessi ristoratori pagavano con molto ritardo o addirittura non pagavano, e quindi il nodo è venuto al pettine.

In questo post potete ascoltare l’audio o leggere la trascrizione di questa nuova e ultima puntata.

Stefano: Interessante. Denis, guarda, ti faccio parlare di un’altra cosa adesso. Ne avevi già accennato un po’ prima… il discorso sulla distribuzione. Quanto conta oggi, nella distribuzione, anche nei progetti export delle aziende del vino italiano? Nel senso che sappiamo che ci sono paesi dove il peso della distribuzione, che si sta già facendo importante anche in Italia, ma è ancora più forte. È così?

Denis: Tu intendi la GDO? Si, allora, guarda. Diciamo che è una componente fondamentale un po’ per tutti i mercati, nel senso che a livello europeo più di tutti: nel Regno Unito e in Germania, le grandi catene distributive hanno in mano la gran parte, la quota principale di mercato, e qui contano soprattutto, per quanto riguarda anche la questione del prezzo… cioè, in Germania, se non ricordo male, quasi l’80% dei consumi di vino passa dalla GDO e qui contano tantissimo i discount che, come sai, a parte alcune occasioni degli ultimi anni, hanno comunque una politica legata soprattutto alla competitività di prezzo, per cui di conseguenza, anche il prodotto che importano, la prima cosa che cercano nel produttore, è il prezzo. La stessa cosa, ma in maniera differente, è nel Regno Unito: qui, anche in questo caso, c’è una forte componente nei consumi a livello nazionale, legato alle grandi catene distributive, però qui si gioca più che altro sulle promozioni, più che sui discount, e quindi anche qua si comprano anche vini che hanno un prezzo elevato, ma appena si chiede al produttore un aiuto nel momento in cui si decide di far la promozione, per cui, guardandola da entrambi i lati, sia il Regno Unito che la Germania sono cosiddetti “mercati di prezzo”, dove quindi tu devi essere soprattutto competitivo di fronte a dei costi di produzione. E in altri mercati, invece, la cosa è nettamente differente. Cioè ad esempio, non so, negli Stati Uniti, la questione dell’home trade è importante: non c’è solo la GDO che poi lì assume diversi risvolti che non sono tipici come la nostra italiana, ma conta tantissimo anche essere presenti nella cosiddetta RECA, quindi nei consumi fuori casa, nell’home trade, dove ci sono sicuramente grandi catene, anche in questo caso, di ristorazione, che però hanno delle politiche dove il prezzo o conta di meno e contano di più il posizionamento, l’immagine, tutto quello che ne consegue.

Stefano: Ci sono magari anche più passaggi, talvolta?

Denis: Ecco, questo è un altro problema invece, nei mercati regolamentati, questo è un ulteriore fattore. Cioè adesso, al di là del consumo e quindi della distribuzione del consumo, il discorso ricade su come sono strutturati i canali d’ingresso, in questi mercati: gli Stati Uniti hanno il retaggio del sistema di tre canali.

Stefano: Ma è ancora così, sempre, proprio, obbligatoriamente, o…?

Denis: Sì, sì. Obbligatoriamente. Cioè, tu, come produttore, per arrivare al consumatore, devi prima trovare l’importatore che ha una licenza che ti compra questo vino, il quale poi a sua volta deve trovare un distributore che ha la licenza a cui venderlo, il quale a sua volta deve venderlo al consumatore, al retailer, e poi arriva al consumo. Quindi, questi quattro passaggi non fanno altro che aumentare, a loro volta, anche il prezzo dal produttore al consumatore. E gli altri sono invece il mercato monopolistico, come tutti quelli del nord Europa, del Canada, dove invece c’è un monopolio dove tu puoi importare il tuo vino solo dopo essere entrato nelle liste del monopolio. E quindi anche lì c’è tutto un altro procedimento da seguire per poter essere accreditati, e via discorrendo. Quindi, questo, guarda, mi dà solo lo spunto per fare questo inciso, cioè il fatto che, forse una delle cose che citavi in premessa, che per esportare non è sufficiente sapere cosa fa il vicino, ma c’è tutta una storia e un’analisi da fare che riguarda non solo i consumatori, ma soprattutto anche i canali di distribuzione.

Stefano: E poi ci sono i costi, legati ovviamente al mercato… ti avevo sentito dire “Occhio ai dazi”, no?

Denis: Eh, poi c’è anche questo aspetto, esatto. Tra l’altro, nell’Unione Europea, dove, fondamentalmente, il mercato è unico e quindi non ci sono dazi, salvo poi alcune leggi e alcuni poster regionali che quelle comunque permangono, e il problema sta soprattutto, ecco, nei mercati extra-europei, in questo caso particolare asiatici che abbiamo citato all’inizio, dove il dazio arriva a diversi punti di percentuale: oltre il 20% senza considerare l’India, dove qui addirittura il sistema è federale, cioè che esistono dazi regionali che in alcuni casi arrivano anche oltre il 300%. Delle assurdità, che però fanno capire come un vino che entra a 1 euro fa presto poi ad arrivare a valori molto elevati.

Stefano: Certo, certo. Altre considerazioni, ti avevo sentito farle a proposito, ovviamente, del packaging, delle etichette, per cui ci sono, soprattutto in alcuni mercati rispetto ad alcune fasce di consumatori, come i cosiddetti millennials, i giovani, dove pesano tanto insomma. Avevi raccontato di una malvasia che aveva spopolato… ci vuoi raccontare la cosa?

Denis: Sì, anche qui, la considerazione di partenza è quella che ___ e un’impresa, diciamo, in generale… l’Italia del vino è sempre stata un attore legato a strategie product-oriented e meno market-oriented che sono invece quelle tipiche dei paesi dell’emisfero sud, leggi Cile, Sudafrica, Nuova Zelanda, Australia, dove loro, non venendo da una tradizione vinicola di lungo corso, la prima cosa che hanno pensato era capire che tipo di vino poteva piacere ai consumatori di tutto il mondo e gliel’hanno costruito sulla loro esigenza. Ma la costruzione sulla loro esigenza non voleva dire individuare solo il vitigno che poteva rispondere a questi desiderata, ma anche capire, dal punto di vista del packaging, dell’imbottigliamento, di tutto il resto, che cosa chiedevano questi consumatori. E la logica è di mercato, e ci sta: perché chiaramente, quando tu hai un consumatore che non ha una conoscenza come quella italiana, del vino, dei vitigni, dei territori, quando compra il vino, la prima cosa che vi guarda è la bottiglia e l’etichetta collegata. E la cosa interessante era vedere come diversi studi hanno dimostrato, i mercati anche interessanti, quindi non proprio di prima generazione come quelli asiatici, ma quello americano, i giovani consumatori… esistono dei fenomeni che, chiaramente, un po’ come nelle mode, sono anche effimeri, cioè magari un vino, che ha una bella etichetta, che richiama un qualcosa di simbolico, che il giovane riconosce a prima vista e che quindi apprezza, magari poi dopo tre anni questo è un prodotto che muore e la stessa azienda produttrice ne crea uno nuovo, sempre tenendo conto di proprie analisi di marketing. La citazione della malvasia era legata al fatto che, anche qui, la Cina è un mercato nuovo e i consumatori non hanno conoscenza del vino, e uno dei canali più utilizzati anche per informarsi è internet, e quindi non solo usano internet per capire da dove proviene un vino, com’è fatto eccetera, ma poi lo usano anche per comprarlo. E un caso di studio era quello di una malvasia prodotta da un noto produttore, da una delle cantine più grandi d’Italia, Emiliano Romagnola, che aveva stilizzato l’etichetta con motivi floreali e questo era, diciamo così, diventato di moda e piaceva molto agli acquirenti di internet, tanto che lo stock di prodotto che il produttore mi aveva inviato, era andato esaurito nel giro di pochi mesi. E questo era per dare un’idea di come in realtà il prodotto… qui vabbè, chiaro, il prodotto era un prodotto buono, nel senso che non era, diciamo, un vino che non rispondeva, nello stesso tempo, anche dal punto di vista organolettico ai bisogni desiderati dai consumatori, ma soprattutto quello che colpiva, era l’etichetta, e questa etichetta qui aveva fatto la fortuna del prodotto.

Stefano: A proposito di online, su questo avete anche dei dati, nel senso, c’è una crescita anche lì, anche in Italia, mi sembra…

Denis: Sì guarda, si parla ancora di percentuali piccole cioè, non più del 3% di quelli che sono i consumi totali a livello di singola nazione, però le vendite online sono quelle che registrano le dinamiche di crescita più grandi, ad esempio, la solita Cina appena citata, negli ultimi tre anni, cioè tra il 2014 e il 2011, le vendite online sono cresciute del circa 173%, pari a un totale di quasi 100 milioni di bottiglie. Ma lo stesso, percentuali più ridotte ma più importanti, le han fatte anche il Canada, la Svezia, col circa il 50% di crescita… l’Italia, in questo periodo, è cresciuta di circa il 23%, con un totale di vendita di circa 29 milioni di bottiglie che, se comparati sul totale, ripeto, siamo una percentuale di consumi sotto al 2%, però tu mettilo a confronto al fatto che qui invece, negli ultimi tre anni, a livello complessivo i consumi sono calati. Qui son cresciuti del 23… sta diventando un’opportunità interessante, non solo per i ritmi di crescita, ma anche per il fatto che per molti produttori più piccoli, quindi con una minore disponibilità di bottiglie, quindi anche con una minor capacità, diciamo, in merito alla possibilità di arrivare sui canali tradizionali del mercato, dice “guarda, è un canale è un po’ più democratico, qui bastano anche poche casse di consegna per poter accedere all’assortimento dei siti online”. Quindi, è un’opportunità da considerare, soprattutto per le medie e piccole aziende che invece faticano ad entrare sui mercati più importanti.

Stefano: Ok. Allora, grazie tanto, Denis Pantini, “occhio ai numeri”, dunque, ci fai capire… chi è che sta riuscendo però ad esportare? Quali sono le aziende… si può tracciare una fotografia di tipologia di azienda che esporta, italiana ovviamente?

Denis: Guarda, allora, anche qui. Occorre fare una considerazione, cioè nel senso che negli ultimi anni, comunque, il numero delle aziende italiane che è riuscito ad esportare, è aumentato ed è aumentato anche in misura considerevole e ha toccato anche le aziende più piccole. Cioè, non è che solo le aziende medio-grandi riescono ad esportare, anche le più piccole, vuoi per questa cosa che ho appena detto dei canali online, vuoi per mercati di prossimità come la Germania, la Svizzera e altri ancora, sono riusciti comunque a esportare vino. Però, è chiaro che se io guardo la propensione all’export, cioè il rapporto tra quanto tengo di fatturato nei mercati internazionali rispetto al totale, queste percentuali aumentano o vanno ad aumentare la dimensione d’azienda, ed è un po’ una considerazione conclusiva rispetto a quello che hai detto tu prima, cioè, occhio ai canali di distribuzione, occhio agli interlocutori commerciali con cui lavori, occhio alle distanze, occhio al quantitativo minimo anche che tu devi avere per assicurare la fornitura, tenendo conto di tutte queste considerazioni, più quelle legate alle capacità di analisi, alla capacità di marketing e tutto il resto, ti fanno capire come le imprese più dimensionate, più grandi, abbiano anche più risorse da spendere per poter essere presenti anche nei mercati internazionali e quindi, alla luce di questa correlazione, è evidente che le imprese più grandi hanno una propensione all’export più alta rispetto alle medio-piccole.

Stefano: E quindi, quelle medio-piccole, cosa stanno facendo? Si muovono anche insieme? So che avete fatto un osservatorio, anche un’indagine presso le aziende, che dinamiche state vedendo? Riescono a fare qualcosa per superare, diciamo, questo limite legato alla dimensione?

Denis: Sai, il problema più grande si è palesato durante la crisi, perché prima, le aziende piccole riuscivano a sopravvivere un po’ con i mercati di prossimità e quindi non intendo i mercati geografici, ma intendo proprio, non so, canali vicini, tipo la ristorazione sotto casa, le pizzerie, e non la grande distribuzione, e quindi questo permetteva anche ai più piccoli di poter vendere il loro vino. Poi, con la crisi questo canale s’è chiuso, nel senso che si è fortemente ridimensionato, vuoi perché la gente andava meno al ristorante, vuoi perché gli stessi ristoratori pagavano con molto ritardo o addirittura non pagavano, e quindi il problema… il nodo è venuto al pettine. E le piccole imprese si sono dovute riorganizzare. Chi è riuscito, attraverso anche ai consorzi o aggregandosi con altri, è riuscito a portare il vino anche fuori dai propri confini, chi non ce l’ha fatta, o in alcuni casi ha venduto il prodotto alle aziende più grandi, che a loro volta hanno quindi esportato, sono diventati, diciamo, sub-fornitori, ecco, per usare un termine tecnico, delle aziende che invece avevano delle cariche commerciali, e altre, invece, le hanno chiuse e molte sono ancora in vendita.

Stefano: Denis Pantini, grazie allora, davvero, per questo quadro, per i consigli legati all’export del vino italiano. Chi è interessato ad approfondire questa materia avrà l’occasione di incontrare la tua relazione al Wine2Wine a Verona, prossimamente, all’inizio di Dicembre, ci vedremo dunque lì, io intanto rimando tutte le persone al post correlato a questa intervista su Wineinternetmarketing.it, lì trovate anche i riferimenti a Denis Pantini, a Wine Monitor e alle sue attività. Vi invito ovviamente, come sempre, a commentare, a farmi sapere cosa ne pensate. Mi trovate su Twitter, @stefanolabate, e via e-mail a info@wineinternetmarketing.it.

Grazie Pantini, ci vediamo a Verona!

Denis: Grazie a voi, a presto, è un piacere.

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Questo è il seguito della conversazione con Denis Pantini di Wine Monitor a proposito dell’esportare il vino italiano.

Sai, il problema più grande si è palesato durante la crisi. Prima le aziende piccole riuscivano a sopravvivere con i mercati di prossimità, la ristorazione sotto casa, le pizzerie e quindi questo permetteva anche ai più piccoli di poter vendere il loro vino. Poi, con la crisi questo canale si è fortemente ridimensionato, vuoi perché la gente andava meno al ristorante, vuoi perché gli stessi ristoratori pagavano con molto ritardo o addirittura non pagavano, e quindi il nodo è venuto al pettine.

In questo post potete ascoltare l’audio o leggere la trascrizione di questa nuova e ultima puntata.

Stefano: Interessante. Denis, guarda, ti faccio parlare di un’altra cosa adesso. Ne avevi già accennato un po’ prima… il discorso sulla distribuzione. Quanto conta oggi, nella distribuzione, anche nei progetti export delle aziende del vino italiano? Nel senso che sappiamo che ci sono paesi dove il peso della distribuzione, che si sta già facendo importante anche in Italia, ma è ancora più forte. È così?

Denis: Tu intendi la GDO? Si, allora, guarda. Diciamo che è una componente fondamentale un po’ per tutti i mercati, nel senso che a livello europeo più di tutti: nel Regno Unito e in Germania, le grandi catene distributive hanno in mano la gran parte, la quota principale di mercato, e qui contano soprattutto, per quanto riguarda anche la questione del prezzo… cioè, in Germania, se non ricordo male, quasi l’80% dei consumi di vino passa dalla GDO e qui contano tantissimo i discount che, come sai, a parte alcune occasioni degli ultimi anni, hanno comunque una politica legata soprattutto alla competitività di prezzo, per cui di conseguenza, anche il prodotto che importano, la prima cosa che cercano nel produttore, è il prezzo. La stessa cosa, ma in maniera differente, è nel Regno Unito: qui, anche in questo caso, c’è una forte componente nei consumi a livello nazionale, legato alle grandi catene distributive, però qui si gioca più che altro sulle promozioni, più che sui discount, e quindi anche qua si comprano anche vini che hanno un prezzo elevato, ma appena si chiede al produttore un aiuto nel momento in cui si decide di far la promozione, per cui, guardandola da entrambi i lati, sia il Regno Unito che la Germania sono cosiddetti “mercati di prezzo”, dove quindi tu devi essere soprattutto competitivo di fronte a dei costi di produzione. E in altri mercati, invece, la cosa è nettamente differente. Cioè ad esempio, non so, negli Stati Uniti, la questione dell’home trade è importante: non c’è solo la GDO che poi lì assume diversi risvolti che non sono tipici come la nostra italiana, ma conta tantissimo anche essere presenti nella cosiddetta RECA, quindi nei consumi fuori casa, nell’home trade, dove ci sono sicuramente grandi catene, anche in questo caso, di ristorazione, che però hanno delle politiche dove il prezzo o conta di meno e contano di più il posizionamento, l’immagine, tutto quello che ne consegue.

Stefano: Ci sono magari anche più passaggi, talvolta?

Denis: Ecco, questo è un altro problema invece, nei mercati regolamentati, questo è un ulteriore fattore. Cioè adesso, al di là del consumo e quindi della distribuzione del consumo, il discorso ricade su come sono strutturati i canali d’ingresso, in questi mercati: gli Stati Uniti hanno il retaggio del sistema di tre canali.

Stefano: Ma è ancora così, sempre, proprio, obbligatoriamente, o…?

Denis: Sì, sì. Obbligatoriamente. Cioè, tu, come produttore, per arrivare al consumatore, devi prima trovare l’importatore che ha una licenza che ti compra questo vino, il quale poi a sua volta deve trovare un distributore che ha la licenza a cui venderlo, il quale a sua volta deve venderlo al consumatore, al retailer, e poi arriva al consumo. Quindi, questi quattro passaggi non fanno altro che aumentare, a loro volta, anche il prezzo dal produttore al consumatore. E gli altri sono invece il mercato monopolistico, come tutti quelli del nord Europa, del Canada, dove invece c’è un monopolio dove tu puoi importare il tuo vino solo dopo essere entrato nelle liste del monopolio. E quindi anche lì c’è tutto un altro procedimento da seguire per poter essere accreditati, e via discorrendo. Quindi, questo, guarda, mi dà solo lo spunto per fare questo inciso, cioè il fatto che, forse una delle cose che citavi in premessa, che per esportare non è sufficiente sapere cosa fa il vicino, ma c’è tutta una storia e un’analisi da fare che riguarda non solo i consumatori, ma soprattutto anche i canali di distribuzione.

Stefano: E poi ci sono i costi, legati ovviamente al mercato… ti avevo sentito dire “Occhio ai dazi”, no?

Denis: Eh, poi c’è anche questo aspetto, esatto. Tra l’altro, nell’Unione Europea, dove, fondamentalmente, il mercato è unico e quindi non ci sono dazi, salvo poi alcune leggi e alcuni poster regionali che quelle comunque permangono, e il problema sta soprattutto, ecco, nei mercati extra-europei, in questo caso particolare asiatici che abbiamo citato all’inizio, dove il dazio arriva a diversi punti di percentuale: oltre il 20% senza considerare l’India, dove qui addirittura il sistema è federale, cioè che esistono dazi regionali che in alcuni casi arrivano anche oltre il 300%. Delle assurdità, che però fanno capire come un vino che entra a 1 euro fa presto poi ad arrivare a valori molto elevati.

Stefano: Certo, certo. Altre considerazioni, ti avevo sentito farle a proposito, ovviamente, del packaging, delle etichette, per cui ci sono, soprattutto in alcuni mercati rispetto ad alcune fasce di consumatori, come i cosiddetti millennials, i giovani, dove pesano tanto insomma. Avevi raccontato di una malvasia che aveva spopolato… ci vuoi raccontare la cosa?

Denis: Sì, anche qui, la considerazione di partenza è quella che ___ e un’impresa, diciamo, in generale… l’Italia del vino è sempre stata un attore legato a strategie product-oriented e meno market-oriented che sono invece quelle tipiche dei paesi dell’emisfero sud, leggi Cile, Sudafrica, Nuova Zelanda, Australia, dove loro, non venendo da una tradizione vinicola di lungo corso, la prima cosa che hanno pensato era capire che tipo di vino poteva piacere ai consumatori di tutto il mondo e gliel’hanno costruito sulla loro esigenza. Ma la costruzione sulla loro esigenza non voleva dire individuare solo il vitigno che poteva rispondere a questi desiderata, ma anche capire, dal punto di vista del packaging, dell’imbottigliamento, di tutto il resto, che cosa chiedevano questi consumatori. E la logica è di mercato, e ci sta: perché chiaramente, quando tu hai un consumatore che non ha una conoscenza come quella italiana, del vino, dei vitigni, dei territori, quando compra il vino, la prima cosa che vi guarda è la bottiglia e l’etichetta collegata. E la cosa interessante era vedere come diversi studi hanno dimostrato, i mercati anche interessanti, quindi non proprio di prima generazione come quelli asiatici, ma quello americano, i giovani consumatori… esistono dei fenomeni che, chiaramente, un po’ come nelle mode, sono anche effimeri, cioè magari un vino, che ha una bella etichetta, che richiama un qualcosa di simbolico, che il giovane riconosce a prima vista e che quindi apprezza, magari poi dopo tre anni questo è un prodotto che muore e la stessa azienda produttrice ne crea uno nuovo, sempre tenendo conto di proprie analisi di marketing. La citazione della malvasia era legata al fatto che, anche qui, la Cina è un mercato nuovo e i consumatori non hanno conoscenza del vino, e uno dei canali più utilizzati anche per informarsi è internet, e quindi non solo usano internet per capire da dove proviene un vino, com’è fatto eccetera, ma poi lo usano anche per comprarlo. E un caso di studio era quello di una malvasia prodotta da un noto produttore, da una delle cantine più grandi d’Italia, Emiliano Romagnola, che aveva stilizzato l’etichetta con motivi floreali e questo era, diciamo così, diventato di moda e piaceva molto agli acquirenti di internet, tanto che lo stock di prodotto che il produttore mi aveva inviato, era andato esaurito nel giro di pochi mesi. E questo era per dare un’idea di come in realtà il prodotto… qui vabbè, chiaro, il prodotto era un prodotto buono, nel senso che non era, diciamo, un vino che non rispondeva, nello stesso tempo, anche dal punto di vista organolettico ai bisogni desiderati dai consumatori, ma soprattutto quello che colpiva, era l’etichetta, e questa etichetta qui aveva fatto la fortuna del prodotto.

Stefano: A proposito di online, su questo avete anche dei dati, nel senso, c’è una crescita anche lì, anche in Italia, mi sembra…

Denis: Sì guarda, si parla ancora di percentuali piccole cioè, non più del 3% di quelli che sono i consumi totali a livello di singola nazione, però le vendite online sono quelle che registrano le dinamiche di crescita più grandi, ad esempio, la solita Cina appena citata, negli ultimi tre anni, cioè tra il 2014 e il 2011, le vendite online sono cresciute del circa 173%, pari a un totale di quasi 100 milioni di bottiglie. Ma lo stesso, percentuali più ridotte ma più importanti, le han fatte anche il Canada, la Svezia, col circa il 50% di crescita… l’Italia, in questo periodo, è cresciuta di circa il 23%, con un totale di vendita di circa 29 milioni di bottiglie che, se comparati sul totale, ripeto, siamo una percentuale di consumi sotto al 2%, però tu mettilo a confronto al fatto che qui invece, negli ultimi tre anni, a livello complessivo i consumi sono calati. Qui son cresciuti del 23… sta diventando un’opportunità interessante, non solo per i ritmi di crescita, ma anche per il fatto che per molti produttori più piccoli, quindi con una minore disponibilità di bottiglie, quindi anche con una minor capacità, diciamo, in merito alla possibilità di arrivare sui canali tradizionali del mercato, dice “guarda, è un canale è un po’ più democratico, qui bastano anche poche casse di consegna per poter accedere all’assortimento dei siti online”. Quindi, è un’opportunità da considerare, soprattutto per le medie e piccole aziende che invece faticano ad entrare sui mercati più importanti.

Stefano: Ok. Allora, grazie tanto, Denis Pantini, “occhio ai numeri”, dunque, ci fai capire… chi è che sta riuscendo però ad esportare? Quali sono le aziende… si può tracciare una fotografia di tipologia di azienda che esporta, italiana ovviamente?

Denis: Guarda, allora, anche qui. Occorre fare una considerazione, cioè nel senso che negli ultimi anni, comunque, il numero delle aziende italiane che è riuscito ad esportare, è aumentato ed è aumentato anche in misura considerevole e ha toccato anche le aziende più piccole. Cioè, non è che solo le aziende medio-grandi riescono ad esportare, anche le più piccole, vuoi per questa cosa che ho appena detto dei canali online, vuoi per mercati di prossimità come la Germania, la Svizzera e altri ancora, sono riusciti comunque a esportare vino. Però, è chiaro che se io guardo la propensione all’export, cioè il rapporto tra quanto tengo di fatturato nei mercati internazionali rispetto al totale, queste percentuali aumentano o vanno ad aumentare la dimensione d’azienda, ed è un po’ una considerazione conclusiva rispetto a quello che hai detto tu prima, cioè, occhio ai canali di distribuzione, occhio agli interlocutori commerciali con cui lavori, occhio alle distanze, occhio al quantitativo minimo anche che tu devi avere per assicurare la fornitura, tenendo conto di tutte queste considerazioni, più quelle legate alle capacità di analisi, alla capacità di marketing e tutto il resto, ti fanno capire come le imprese più dimensionate, più grandi, abbiano anche più risorse da spendere per poter essere presenti anche nei mercati internazionali e quindi, alla luce di questa correlazione, è evidente che le imprese più grandi hanno una propensione all’export più alta rispetto alle medio-piccole.

Stefano: E quindi, quelle medio-piccole, cosa stanno facendo? Si muovono anche insieme? So che avete fatto un osservatorio, anche un’indagine presso le aziende, che dinamiche state vedendo? Riescono a fare qualcosa per superare, diciamo, questo limite legato alla dimensione?

Denis: Sai, il problema più grande si è palesato durante la crisi, perché prima, le aziende piccole riuscivano a sopravvivere un po’ con i mercati di prossimità e quindi non intendo i mercati geografici, ma intendo proprio, non so, canali vicini, tipo la ristorazione sotto casa, le pizzerie, e non la grande distribuzione, e quindi questo permetteva anche ai più piccoli di poter vendere il loro vino. Poi, con la crisi questo canale s’è chiuso, nel senso che si è fortemente ridimensionato, vuoi perché la gente andava meno al ristorante, vuoi perché gli stessi ristoratori pagavano con molto ritardo o addirittura non pagavano, e quindi il problema… il nodo è venuto al pettine. E le piccole imprese si sono dovute riorganizzare. Chi è riuscito, attraverso anche ai consorzi o aggregandosi con altri, è riuscito a portare il vino anche fuori dai propri confini, chi non ce l’ha fatta, o in alcuni casi ha venduto il prodotto alle aziende più grandi, che a loro volta hanno quindi esportato, sono diventati, diciamo, sub-fornitori, ecco, per usare un termine tecnico, delle aziende che invece avevano delle cariche commerciali, e altre, invece, le hanno chiuse e molte sono ancora in vendita.

Stefano: Denis Pantini, grazie allora, davvero, per questo quadro, per i consigli legati all’export del vino italiano. Chi è interessato ad approfondire questa materia avrà l’occasione di incontrare la tua relazione al Wine2Wine a Verona, prossimamente, all’inizio di Dicembre, ci vedremo dunque lì, io intanto rimando tutte le persone al post correlato a questa intervista su Wineinternetmarketing.it, lì trovate anche i riferimenti a Denis Pantini, a Wine Monitor e alle sue attività. Vi invito ovviamente, come sempre, a commentare, a farmi sapere cosa ne pensate. Mi trovate su Twitter, @stefanolabate, e via e-mail a info@wineinternetmarketing.it.

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