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La mineralità del vino, cosa è e come riconoscerla

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Il termine più abusato e insopportabile utilizzato dagli appassionati di vino degli ultimi anni non può che essere la "mineralità", principalmente evocato a sproposito per vini che non ne hanno la benchè minima traccia, soprattutto dal punto di vista aromatico. Ci sono però vini che soprattutto al palato recano indelebile la traccia di mineralizzazione delle sue componenti e che in questa nota gustativa tra il piccante, il sapido e l'umami costruiscono la loro fortuna e la loro riconoscibilità. E' una caratteristica precipua dei vini vulcanici come Gavi, Soave, Durello, Etna, Orvieto e ben pochi altri al mondo ma nell'assaggio come in questi Frascati presentati a Vinalia Priora lo scorso aprile non può far dubitare della sua esistenza reale.

Cosa si intende per mineralità innanzitutto? Nell'azzeccata definizione di Daniel Lefevbre (qui trovate una bellissima intervista sul tema) si intende il rapporto tra la sua componente organica e le componenti minerali intesi in termini di sali di potassio, magnesio e fosforo. Non è tanto quindi l'estratto secco ma solo le componenti capaci in sinergia con il resto del vino a conferire un gusto sapido con sfumature umami che rendono tridimensionale e appagante la bevuta conferisco l'agognata mineralità. Il lavoro del vignaiolo è sempre un lavoro di trasformare l'organico ed effimero del frutto fresco dell'uva in qualcosa di più "inorganico" e stabile come il vino dove la componente minerale rappresenta quasi sempre l'85% del totale (acqua, sali) a fronte di un 15% di organico tra alcol, zuccheri, glicerina, tannini. La mineralizzazione viene portata avanti con mezzi fisici (la pressatura e rottura degli acini) mezzi biologici (la fermentazione che trasforma le componenti organiche come gli zuccheri in componenti più stabili come l'etanolo) e infine mezzi chimici come l'ossidazione che è l'arma finale della mineralizzazione (basti pensare ai vini orange, fortemente mineralizzati ma con ricordi labili della componente organica iniziale). Nel caso di vini dolci (Alsazia) o con note fruttate dolci e rotonde molto evidenti (come il Frascati, specialmente nelle storiche versioni dolci "Cannellino") il lavoro di mineralizzazione del vignaiolo dona armonia ed equilibrio speciale alla componente gustativa rendendo i vini eccezionalmente gustosi e profondi facendo al contesto risaltare come in alta definizione le caratteristiche del frutto e dell'acidità. Nelle uve che crescono sui suoli vulcanici il fenomeno è particolarmente evidente (e spesso non necessita di tecniche speciali da parte di chi produce il vino) quando si usano vitigni con aromaticità primaria e secondaria non elevatissima, basse rese, macerazioni lunghe, poca solforosa e a partire da uve da vigne possono affondare le radici nel terreno in maniera importante in moda da assorbire concentrazioni maggiori di fosforo, potassio e magnesio. Tutti elementi tipici del Frascati (ma non esclusivi) che qui ha avuto la fortuna di veder arrivare dal Mediterraneo e dall'Italia tutta vitigni ideali per esaltare alcuni tratti di questo gusto minerale. Da un lato la malvasia puntinata (la malvasia più pregiata dal punto di vista aromatico tra le 18 presenti nel nostro paese, erede diretta di quella famosa uva cretese che Venezia ha diffuso per tutto il mediterraneo) e dall'altro i vari vitigni che le popolazioni che qui sono giunte a coltivare hanno portato con se come trebbiano giallo dalla Toscana e quello verde (verdicchio in realtà, dalle Marche) e greco (da varie zone del sud Italia).

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Cosa si intende per mineralità innanzitutto? Nell'azzeccata definizione di Daniel Lefevbre (qui trovate una bellissima intervista sul tema) si intende il rapporto tra la sua componente organica e le componenti minerali intesi in termini di sali di potassio, magnesio e fosforo. Non è tanto quindi l'estratto secco ma solo le componenti capaci in sinergia con il resto del vino a conferire un gusto sapido con sfumature umami che rendono tridimensionale e appagante la bevuta conferisco l'agognata mineralità. Il lavoro del vignaiolo è sempre un lavoro di trasformare l'organico ed effimero del frutto fresco dell'uva in qualcosa di più "inorganico" e stabile come il vino dove la componente minerale rappresenta quasi sempre l'85% del totale (acqua, sali) a fronte di un 15% di organico tra alcol, zuccheri, glicerina, tannini. La mineralizzazione viene portata avanti con mezzi fisici (la pressatura e rottura degli acini) mezzi biologici (la fermentazione che trasforma le componenti organiche come gli zuccheri in componenti più stabili come l'etanolo) e infine mezzi chimici come l'ossidazione che è l'arma finale della mineralizzazione (basti pensare ai vini orange, fortemente mineralizzati ma con ricordi labili della componente organica iniziale). Nel caso di vini dolci (Alsazia) o con note fruttate dolci e rotonde molto evidenti (come il Frascati, specialmente nelle storiche versioni dolci "Cannellino") il lavoro di mineralizzazione del vignaiolo dona armonia ed equilibrio speciale alla componente gustativa rendendo i vini eccezionalmente gustosi e profondi facendo al contesto risaltare come in alta definizione le caratteristiche del frutto e dell'acidità. Nelle uve che crescono sui suoli vulcanici il fenomeno è particolarmente evidente (e spesso non necessita di tecniche speciali da parte di chi produce il vino) quando si usano vitigni con aromaticità primaria e secondaria non elevatissima, basse rese, macerazioni lunghe, poca solforosa e a partire da uve da vigne possono affondare le radici nel terreno in maniera importante in moda da assorbire concentrazioni maggiori di fosforo, potassio e magnesio. Tutti elementi tipici del Frascati (ma non esclusivi) che qui ha avuto la fortuna di veder arrivare dal Mediterraneo e dall'Italia tutta vitigni ideali per esaltare alcuni tratti di questo gusto minerale. Da un lato la malvasia puntinata (la malvasia più pregiata dal punto di vista aromatico tra le 18 presenti nel nostro paese, erede diretta di quella famosa uva cretese che Venezia ha diffuso per tutto il mediterraneo) e dall'altro i vari vitigni che le popolazioni che qui sono giunte a coltivare hanno portato con se come trebbiano giallo dalla Toscana e quello verde (verdicchio in realtà, dalle Marche) e greco (da varie zone del sud Italia).

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