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Perle, maiali e feste: le parabole di Gesù - Parte 2: Immagini del quotidiano |19 Giugno 2022 |
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Predicatrice: Jean Guest
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Tempo di lettura: 10 minuti
Tempo di ascolto audio/visione video: 36 minuti
Uno dei miei romanzi preferiti è “Se una notte d'inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. È un capolavoro della narrazione e non posso che consigliarvelo fortemente. Ma attenzione! È anche la lettura più frustrante, perché lo scopo del romanzo è quello di iniziare ogni capitolo con un primo verso ben noto, sulla falsariga di "Se una notte d'inverno un viaggiatore bussasse alla tua porta", catturare l'attenzione con metafore familiari, tessere una trama intrigante, presentare personaggi affascinanti, inserire un colpo di scena o una svolta inaspettata nel racconto e poi terminare senza concludere la storia, passando direttamente a quella successiva. Accidenti! Cosa succede dopo? La genialità del romanzo sta nel fatto che si pensa di sapere cosa si sta leggendo, ma non si riesce ad anticipare mai il colpo di scena che sta per arrivare.
Sapete - È un po' come quando leggiamo le parabole. Sono così familiari, spesso sono le prime storie della Bibbia che raccontiamo ai nostri figli, e pensiamo di conoscerle così bene da dimenticare che potrebbe esserci un colpo di scena.
Ma cos'è una parabola? La definizione che userò è quella più ampia - cioè, una parabola è un insegnamento che utilizza un'immagine per trasmettere una verità spirituale.
Anche se mi piace molto questa definizione del filosofo Kierkegaard.
Una comunicazione indiretta che “inganna” l'uditore portandolo alla verità - Soren Kierkegaard
Non lasciatevi ingannare dalla parola “inganna”, non significa ingannare o imbrogliare, ma piuttosto è una storia così ordinaria nella sua normalità che vi coglie di sorpresa - è di nuovo il colpo di scena della storia.
La definizione ampia che useremo comprende anche quegli insegnamenti di Gesù di una sola riga, come "Io sono il pane della vita", o "Io sono la vite, voi i tralci". Se includiamo queste brevi frasi illustrate, Gesù ha raccontato circa 60 parabole - che noi conosciamo!
“Tutte queste cose disse Gesù in parabole alla folla e senza parabole non diceva loro nulla.” (Matteo 13:34)
È chiaro che le parabole sono importanti negli insegnamenti di Gesù, ma non sono un'esclusiva sua, si trovano in tutti gli scritti e gli insegnamenti del mondo antico e di tutte le culture, ed è un modo particolarmente rabbinico di insegnare la Torah.
Ma ciò che colpisce è la frequenza con cui Gesù insegnava in parabole e la varietà delle immagini che utilizzava; egli sfrutta un modo di insegnare riconoscibile e cattura l'attenzione dei suoi ascoltatori con immagini tratte dalla loro vita quotidiana.
Le immagini che utilizza possono essere suddivise in quattro categorie
- Come vivevano i suoi ascoltatori: l'agricoltura, gli oggetti domestici di tutti i giorni.
- Come funziona la società: matrimoni, banchetti, relazioni, giudici.
- Il denaro: averlo o non averlo
- Altro
Le immagini sono fondamentali, le parabole sono visive, non concettuali. Quando ascoltiamo la parabola del seminatore abbiamo un'immagine in testa, per questo le frasi che iniziano con "Io sono" possono essere considerate parabole; "Io sono il buon pastore", possiamo capire cosa intende.
C'è anche una varietà nel tipo di narrazione che utilizza. Si va dalle lunghe e complesse parabole allegoriche come la parabola del Seminatore, dove l'allegoria è la chiave per comprenderla, ai ricchi racconti narrativi come la parabola del Figliol Prodigo e la parabola del Buon Samaritano, alle brevi istantanee illustrative come il lievito nel pane.
E proprio come Italo Calvino, Gesù era ben felice di lasciare i suoi ascoltatori e noi in sospeso senza un vero e proprio finale: cosa ne sarà del fratello maggiore nella parabola del Figliol Prodigo?
A volte è assolutamente chiaro il significato di una parabola, mentre altre volte ci si gratta la testa dicendo: "Cosa vorrà dire?". Ma non preoccupatevi troppo di questo, i discepoli erano esattamente come noi.
“I suoi discepoli gli si avvicinarono, dicendo: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».” (Matteo 13:36 b)
Le parabole avevano lo scopo di far riflettere chi le ascoltava: cosa intendeva dire? Vediamo quando i discepoli hanno frainteso in modo comico.
“E Gesù disse loro: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei e dei sadducei». Ed essi ragionavano tra di loro e dicevano: «È perché non abbiamo preso dei pani». Ma Gesù se ne accorse e disse [loro]: «Gente di poca fede, perché discutete tra di voi del fatto di non aver pane? Non capite ancora? Non vi ricordate dei cinque pani dei cinquemila uomini e quante ceste ne portaste via? Né dei sette pani dei quattromila uomini e quanti panieri ne portaste via? Come mai non capite che non è di pani che io vi parlavo? Ma guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei». Allora capirono che non aveva loro detto di guardarsi dal lievito dei pani, ma dall’insegnamento dei farisei e dei sadducei.” (Matteo 16:6:12)
Per essere corretti nei confronti dei discepoli, avevano già sentito Gesù dire anche questo:
“Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata».” (Matteo 13:33)
Quindi, a volte l'immagine del lievito era positiva, altre no. Ma il punto di entrambi è il lievito stesso, così piccolo eppure in grado di avere un effetto significativo. L'ascoltatore deve riflettere e capire qual'è lo scopo dell'immagine.
Dobbiamo impegnarci ancora di più perché non viviamo nella Palestina del I secolo. Il teologo Kenneth Bailey dice che la parabola che illustra meglio questo aspetto è quella delle due persone che costruiscono la loro casa una sulla roccia, l'altra sulla sabbia.
“Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa; ma essa non è caduta, perché era fondata sulla roccia. E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno fatto impeto contro quella casa, ed essa è caduta e la sua rovina è stata grande”. (Matteo 7:24-27)
Nel XXI secolo, con le nostre conoscenze scientifiche, ascoltiamo questa parabola e scartiamo immediatamente la persona stolta che costruisce la sua casa sulla sabbia, perché è palesemente sciocco farlo. Siamo quindi pronti subito a concludere che il senso della storia è: costruisci la tua casa (la vita) sulla roccia (Dio).
Ma nell'arido paesaggio del deserto in cui viveva Gesù la terra sabbiosa s’indurisce al sole, diventando dura come la roccia , e non è immediatamente evidente quale sia roccia e quale sabbia, e l'unico modo per essere certi di essere sulla roccia è scavare molto in profondità e questo richiede un duro lavoro. Solo quando arrivano le piogge la sabbia torna ad essere sabbia e le fondamenta sprofondano.
Quindi sì, la parabola parla di costruire la propria vita su Dio, ma tu, credente, dovrai lavorare duramente per gettare solide fondamenta, costruendo la tua fede nella conoscenza e nella verità, in modo che, quando arriva la pioggia, tu possa reggere in piedi.
Lo stolto non sembra più così evidentemente stolto, e forse ci assomiglia un po' di più?
Come diceva sempre Gesù alla fine di una parabola, chi ha orecchie per udire dovrebbe ascoltare e intendere!
Come ascoltatori del XXI secolo, dobbiamo anche controllare la nostra comprensione rispetto alla saggezza percepita e alle interpretazioni precedenti. So che continuo a sollevare la questione del patriarcato con voi, ma per buoni motivi. Guardate il capitolo 15 di Luca.
Luca capitolo 15
- “La parabola della pecora smarrita”
- “La parabola della dramma perduta”
- “La parabola del figlio prodigo”
Gesù racconta intenzionalmente una serie di tre parabole che trattano della condizione umana di essere perduti e di come Dio ci ritrova - tutte e tre sono bellissime immagini di redenzione.
Vi garantisco che a tutti noi è stato detto che la parabola della pecora riguarda Dio come buon pastore e la parabola del figlio prodigo riguarda Dio come padre amorevole, ma la parabola della moneta perduta? Dio come donna diligente che restaura le ricchezze della famiglia e dà una festa? No, è solo una donna. Perché? Per quale motivo Gesù avrebbe insegnato queste parabole in successione, ma solo due di esse dovrebbero indicare il carattere e la natura di Dio? Non ha senso.
Le diverse interpretazioni ci aprono nuove idee. L'interpretazione tradizionale del seme di senape è che il seme è così piccolo eppure cresce fino a diventare un albero così grande da offrire riparo agli uccelli: il punto della parabola è che il Regno di Dio inizia in piccolo, ma cresce fino a diventare qualcosa di significativo.
Ma uno scrittore contemporaneo all'epoca di Gesù parla del seme di senape in questo modo:
“Estremamente benefico per la salute. Cresce soprattutto allo stato selvatico, anche se viene migliorata quando trapiantato; ma d'altra parte, una volta seminato è difficile liberarsene, perché il seme, una volta caduto, germoglia subito". (Plinio il Vecchio)
Cresce come un'erbaccia che, per quanto ci si sforzi, non si riesce a eliminare, e diventa un albero così grande che gli uccelli vi si posano: è la rovina dell’agricoltore! Quindi, forse, come dice la teologa Paula Gooder:
"È possibile che, anziché presentare l’immagine di un idillio pastorale, questa parabola suggerisca qualcosa di sovversivo e molto meno gradito: il Regno dei cieli è come un'erbaccia perniciosa che, una volta piantata, non può essere sradicata. Cresce e cresce fino a diventare così grande che coloro che sono meno desiderati nei nostri campi ordinati e ben pianificati trovano una casa e vi riposano." (Paula Gooder)
La seconda interpretazione è più dirompente della prima, pone più domande a noi come Chiesa. Entrambe sono possibili, entrambe sono plausibili.
Chi ha orecchie per udire dovrebbe ascoltare e intendere!
E va bene che si discuta sul significato delle parabole. Viviamo in tempi, culture e contesti diversi, ma esse avranno al centro una verità spirituale che è pertinente per noi oggi. E a volte la nostra mancanza di comprensione potrebbe indicare qualcos'altro.
Torniamo a Marco 4 e alla parabola del seminatore.
“«Ascoltate: il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; e gli uccelli [del cielo] vennero e lo mangiarono. Un’altra cadde in un suolo roccioso dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma quando il sole si levò, fu bruciata e, non avendo radice, inaridì. Un’altra cadde fra le spine; le spine crebbero e la soffocarono, ed essa non fece frutto. Altre parti caddero nella buona terra; portarono frutto, che venne su e crebbe, e giunsero a dare il trenta, il sessanta e il cento per uno». Poi disse: «Chi ha orecchi per udire oda». Quando egli fu solo, quelli che gli stavano intorno con i dodici lo interrogarono sulle parabole. Egli disse loro: «A voi è dato [di conoscere] il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori tutto viene esposto in parabole…” (Marco 4:3-11)
Ci sono “intenditori” che comprendono il mistero del regno di Dio e persone estranee o “di fuori” che non lo comprendono.
Per i quattro capitoli successivi i discepoli sono gli “intenditori” e poi, nel capitolo 8, diventano di nuovo “di fuori”, estranei quando non capiscono cosa Gesù intenda con il lievito dei farisei. Egli ripete loro esattamente la stessa cosa:
“ Ma egli, accortosene, disse loro: «Perché state a discutere del non aver pane? Non riflettete e non capite ancora? Avete [ancora] il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate?” (Marco 8:17-18)
E dobbiamo ricordare che molti "estranei" hanno riconosciuto e capito chi era Gesù e che cosa era: la donna al pozzo, la donna con l’emorragia, l'uomo posseduto. Fondamentale per comprendere il regno di Dio è un incontro con Gesù e il modo in cui gli rispondiamo.
Le parabole non sono state usate da Gesù per nascondere la verità del regno di Dio, ma per vedere chi dei suoi ascoltatori era pronto ad affrontarle e a trovarlo. Volevano, vogliamo diventare degli "intenditori"?
Oppure erano, siamo, come il giovane che dopo aver ascoltato la parabola del Buon Samaritano era contento di andarsene deluso perché è troppo difficile da mettere in pratica?
Le Scritture, e in particolare le parabole, hanno lo scopo di farci cambiare, cambiare il nostro modo di pensare, cambiare il nostro modo di agire.
Ho un detto preferito riguardo alle Scritture: "Sconvolge chi si sente a proprio agio e conforta chi è sconvolto".
Non dovremmo essere come il giovane, ma come questo:
“Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; e, trovata una perla di gran valore, se n’è andato, ha venduto tutto quello che aveva e l’ha comprata.” (Matteo 13:45-46)
Amen.
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Uno dei miei romanzi preferiti è “Se una notte d'inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. È un capolavoro della narrazione e non posso che consigliarvelo fortemente. Ma attenzione! È anche la lettura più frustrante, perché lo scopo del romanzo è quello di iniziare ogni capitolo con un primo verso ben noto, sulla falsariga di "Se una notte d'inverno un viaggiatore bussasse alla tua porta", catturare l'attenzione con metafore familiari, tessere una trama intrigante, presentare personaggi affascinanti, inserire un colpo di scena o una svolta inaspettata nel racconto e poi terminare senza concludere la storia, passando direttamente a quella successiva. Accidenti! Cosa succede dopo? La genialità del romanzo sta nel fatto che si pensa di sapere cosa si sta leggendo, ma non si riesce ad anticipare mai il colpo di scena che sta per arrivare.
Sapete - È un po' come quando leggiamo le parabole. Sono così familiari, spesso sono le prime storie della Bibbia che raccontiamo ai nostri figli, e pensiamo di conoscerle così bene da dimenticare che potrebbe esserci un colpo di scena.
Ma cos'è una parabola? La definizione che userò è quella più ampia - cioè, una parabola è un insegnamento che utilizza un'immagine per trasmettere una verità spirituale.
Anche se mi piace molto questa definizione del filosofo Kierkegaard.
Una comunicazione indiretta che “inganna” l'uditore portandolo alla verità - Soren Kierkegaard
Non lasciatevi ingannare dalla parola “inganna”, non significa ingannare o imbrogliare, ma piuttosto è una storia così ordinaria nella sua normalità che vi coglie di sorpresa - è di nuovo il colpo di scena della storia.
La definizione ampia che useremo comprende anche quegli insegnamenti di Gesù di una sola riga, come "Io sono il pane della vita", o "Io sono la vite, voi i tralci". Se includiamo queste brevi frasi illustrate, Gesù ha raccontato circa 60 parabole - che noi conosciamo!
“Tutte queste cose disse Gesù in parabole alla folla e senza parabole non diceva loro nulla.” (Matteo 13:34)
È chiaro che le parabole sono importanti negli insegnamenti di Gesù, ma non sono un'esclusiva sua, si trovano in tutti gli scritti e gli insegnamenti del mondo antico e di tutte le culture, ed è un modo particolarmente rabbinico di insegnare la Torah.
Ma ciò che colpisce è la frequenza con cui Gesù insegnava in parabole e la varietà delle immagini che utilizzava; egli sfrutta un modo di insegnare riconoscibile e cattura l'attenzione dei suoi ascoltatori con immagini tratte dalla loro vita quotidiana.
Le immagini che utilizza possono essere suddivise in quattro categorie
- Come vivevano i suoi ascoltatori: l'agricoltura, gli oggetti domestici di tutti i giorni.
- Come funziona la società: matrimoni, banchetti, relazioni, giudici.
- Il denaro: averlo o non averlo
- Altro
Le immagini sono fondamentali, le parabole sono visive, non concettuali. Quando ascoltiamo la parabola del seminatore abbiamo un'immagine in testa, per questo le frasi che iniziano con "Io sono" possono essere considerate parabole; "Io sono il buon pastore", possiamo capire cosa intende.
C'è anche una varietà nel tipo di narrazione che utilizza. Si va dalle lunghe e complesse parabole allegoriche come la parabola del Seminatore, dove l'allegoria è la chiave per comprenderla, ai ricchi racconti narrativi come la parabola del Figliol Prodigo e la parabola del Buon Samaritano, alle brevi istantanee illustrative come il lievito nel pane.
E proprio come Italo Calvino, Gesù era ben felice di lasciare i suoi ascoltatori e noi in sospeso senza un vero e proprio finale: cosa ne sarà del fratello maggiore nella parabola del Figliol Prodigo?
A volte è assolutamente chiaro il significato di una parabola, mentre altre volte ci si gratta la testa dicendo: "Cosa vorrà dire?". Ma non preoccupatevi troppo di questo, i discepoli erano esattamente come noi.
“I suoi discepoli gli si avvicinarono, dicendo: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».” (Matteo 13:36 b)
Le parabole avevano lo scopo di far riflettere chi le ascoltava: cosa intendeva dire? Vediamo quando i discepoli hanno frainteso in modo comico.
“E Gesù disse loro: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei e dei sadducei». Ed essi ragionavano tra di loro e dicevano: «È perché non abbiamo preso dei pani». Ma Gesù se ne accorse e disse [loro]: «Gente di poca fede, perché discutete tra di voi del fatto di non aver pane? Non capite ancora? Non vi ricordate dei cinque pani dei cinquemila uomini e quante ceste ne portaste via? Né dei sette pani dei quattromila uomini e quanti panieri ne portaste via? Come mai non capite che non è di pani che io vi parlavo? Ma guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei». Allora capirono che non aveva loro detto di guardarsi dal lievito dei pani, ma dall’insegnamento dei farisei e dei sadducei.” (Matteo 16:6:12)
Per essere corretti nei confronti dei discepoli, avevano già sentito Gesù dire anche questo:
“Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata».” (Matteo 13:33)
Quindi, a volte l'immagine del lievito era positiva, altre no. Ma il punto di entrambi è il lievito stesso, così piccolo eppure in grado di avere un effetto significativo. L'ascoltatore deve riflettere e capire qual'è lo scopo dell'immagine.
Dobbiamo impegnarci ancora di più perché non viviamo nella Palestina del I secolo. Il teologo Kenneth Bailey dice che la parabola che illustra meglio questo aspetto è quella delle due persone che costruiscono la loro casa una sulla roccia, l'altra sulla sabbia.
“Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa; ma essa non è caduta, perché era fondata sulla roccia. E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno fatto impeto contro quella casa, ed essa è caduta e la sua rovina è stata grande”. (Matteo 7:24-27)
Nel XXI secolo, con le nostre conoscenze scientifiche, ascoltiamo questa parabola e scartiamo immediatamente la persona stolta che costruisce la sua casa sulla sabbia, perché è palesemente sciocco farlo. Siamo quindi pronti subito a concludere che il senso della storia è: costruisci la tua casa (la vita) sulla roccia (Dio).
Ma nell'arido paesaggio del deserto in cui viveva Gesù la terra sabbiosa s’indurisce al sole, diventando dura come la roccia , e non è immediatamente evidente quale sia roccia e quale sabbia, e l'unico modo per essere certi di essere sulla roccia è scavare molto in profondità e questo richiede un duro lavoro. Solo quando arrivano le piogge la sabbia torna ad essere sabbia e le fondamenta sprofondano.
Quindi sì, la parabola parla di costruire la propria vita su Dio, ma tu, credente, dovrai lavorare duramente per gettare solide fondamenta, costruendo la tua fede nella conoscenza e nella verità, in modo che, quando arriva la pioggia, tu possa reggere in piedi.
Lo stolto non sembra più così evidentemente stolto, e forse ci assomiglia un po' di più?
Come diceva sempre Gesù alla fine di una parabola, chi ha orecchie per udire dovrebbe ascoltare e intendere!
Come ascoltatori del XXI secolo, dobbiamo anche controllare la nostra comprensione rispetto alla saggezza percepita e alle interpretazioni precedenti. So che continuo a sollevare la questione del patriarcato con voi, ma per buoni motivi. Guardate il capitolo 15 di Luca.
Luca capitolo 15
- “La parabola della pecora smarrita”
- “La parabola della dramma perduta”
- “La parabola del figlio prodigo”
Gesù racconta intenzionalmente una serie di tre parabole che trattano della condizione umana di essere perduti e di come Dio ci ritrova - tutte e tre sono bellissime immagini di redenzione.
Vi garantisco che a tutti noi è stato detto che la parabola della pecora riguarda Dio come buon pastore e la parabola del figlio prodigo riguarda Dio come padre amorevole, ma la parabola della moneta perduta? Dio come donna diligente che restaura le ricchezze della famiglia e dà una festa? No, è solo una donna. Perché? Per quale motivo Gesù avrebbe insegnato queste parabole in successione, ma solo due di esse dovrebbero indicare il carattere e la natura di Dio? Non ha senso.
Le diverse interpretazioni ci aprono nuove idee. L'interpretazione tradizionale del seme di senape è che il seme è così piccolo eppure cresce fino a diventare un albero così grande da offrire riparo agli uccelli: il punto della parabola è che il Regno di Dio inizia in piccolo, ma cresce fino a diventare qualcosa di significativo.
Ma uno scrittore contemporaneo all'epoca di Gesù parla del seme di senape in questo modo:
“Estremamente benefico per la salute. Cresce soprattutto allo stato selvatico, anche se viene migliorata quando trapiantato; ma d'altra parte, una volta seminato è difficile liberarsene, perché il seme, una volta caduto, germoglia subito". (Plinio il Vecchio)
Cresce come un'erbaccia che, per quanto ci si sforzi, non si riesce a eliminare, e diventa un albero così grande che gli uccelli vi si posano: è la rovina dell’agricoltore! Quindi, forse, come dice la teologa Paula Gooder:
"È possibile che, anziché presentare l’immagine di un idillio pastorale, questa parabola suggerisca qualcosa di sovversivo e molto meno gradito: il Regno dei cieli è come un'erbaccia perniciosa che, una volta piantata, non può essere sradicata. Cresce e cresce fino a diventare così grande che coloro che sono meno desiderati nei nostri campi ordinati e ben pianificati trovano una casa e vi riposano." (Paula Gooder)
La seconda interpretazione è più dirompente della prima, pone più domande a noi come Chiesa. Entrambe sono possibili, entrambe sono plausibili.
Chi ha orecchie per udire dovrebbe ascoltare e intendere!
E va bene che si discuta sul significato delle parabole. Viviamo in tempi, culture e contesti diversi, ma esse avranno al centro una verità spirituale che è pertinente per noi oggi. E a volte la nostra mancanza di comprensione potrebbe indicare qualcos'altro.
Torniamo a Marco 4 e alla parabola del seminatore.
“«Ascoltate: il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; e gli uccelli [del cielo] vennero e lo mangiarono. Un’altra cadde in un suolo roccioso dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma quando il sole si levò, fu bruciata e, non avendo radice, inaridì. Un’altra cadde fra le spine; le spine crebbero e la soffocarono, ed essa non fece frutto. Altre parti caddero nella buona terra; portarono frutto, che venne su e crebbe, e giunsero a dare il trenta, il sessanta e il cento per uno». Poi disse: «Chi ha orecchi per udire oda». Quando egli fu solo, quelli che gli stavano intorno con i dodici lo interrogarono sulle parabole. Egli disse loro: «A voi è dato [di conoscere] il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori tutto viene esposto in parabole…” (Marco 4:3-11)
Ci sono “intenditori” che comprendono il mistero del regno di Dio e persone estranee o “di fuori” che non lo comprendono.
Per i quattro capitoli successivi i discepoli sono gli “intenditori” e poi, nel capitolo 8, diventano di nuovo “di fuori”, estranei quando non capiscono cosa Gesù intenda con il lievito dei farisei. Egli ripete loro esattamente la stessa cosa:
“ Ma egli, accortosene, disse loro: «Perché state a discutere del non aver pane? Non riflettete e non capite ancora? Avete [ancora] il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate?” (Marco 8:17-18)
E dobbiamo ricordare che molti "estranei" hanno riconosciuto e capito chi era Gesù e che cosa era: la donna al pozzo, la donna con l’emorragia, l'uomo posseduto. Fondamentale per comprendere il regno di Dio è un incontro con Gesù e il modo in cui gli rispondiamo.
Le parabole non sono state usate da Gesù per nascondere la verità del regno di Dio, ma per vedere chi dei suoi ascoltatori era pronto ad affrontarle e a trovarlo. Volevano, vogliamo diventare degli "intenditori"?
Oppure erano, siamo, come il giovane che dopo aver ascoltato la parabola del Buon Samaritano era contento di andarsene deluso perché è troppo difficile da mettere in pratica?
Le Scritture, e in particolare le parabole, hanno lo scopo di farci cambiare, cambiare il nostro modo di pensare, cambiare il nostro modo di agire.
Ho un detto preferito riguardo alle Scritture: "Sconvolge chi si sente a proprio agio e conforta chi è sconvolto".
Non dovremmo essere come il giovane, ma come questo:
“Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; e, trovata una perla di gran valore, se n’è andato, ha venduto tutto quello che aveva e l’ha comprata.” (Matteo 13:45-46)
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