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Svuotare il diritto di sciopero
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Lo sciopero generale del 29 novembre 2024 contro la manovra Meloni fotografa perfettamente come il diritto di sciopero stia subendo una progressiva erosione. Non è retorica, ma cronaca: la Commissione di garanzia ha imposto una riduzione da otto a quattro ore per il trasporto passeggeri, ha chiesto la revoca totale nel trasporto ferroviario, nella sanità e per il personale del ministero della Giustizia.
Il paradosso è che lo sciopero generale, per sua natura, dovrebbe godere di una disciplina speciale con procedure di vantaggio rispetto agli scioperi settoriali. Invece assistiamo a un doppio binario: da un lato le norme speciali che lo tutelano, dall'altro una serie di limitazioni concrete che ne riducono l'efficacia.
I fatti parlano chiaro: per scioperare nei servizi pubblici essenziali oggi servono più passaggi burocratici, più autorizzazioni, più cavilli da rispettare. Quando un'azienda chiude, quando non vengono rinnovati i contratti nazionali, quando gli stipendi non vengono pagati, i lavoratori si trovano davanti a una giungla di vincoli che rende sempre più complesso l'esercizio di un diritto costituzionale.
Non solo: mentre i lavoratori perdono una giornata di stipendio per protestare, il meccanismo delle precettazioni viene utilizzato con frequenza crescente. La stessa Commissione di garanzia, nata per garantire l'equilibrio tra diritto di sciopero e servizi essenziali, viene accusata dai sindacati di "obbedire ai diktat" politici, come denunciano i segretari Landini e Bombardieri.
La domanda è semplice: può un diritto costituzionale essere progressivamente svuotato attraverso vincoli amministrativi e burocratici sempre più stringenti? I numeri e i fatti ci dicono che è esattamente quello che sta accadendo.
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I fatti parlano chiaro: per scioperare nei servizi pubblici essenziali oggi servono più passaggi burocratici, più autorizzazioni, più cavilli da rispettare. Quando un'azienda chiude, quando non vengono rinnovati i contratti nazionali, quando gli stipendi non vengono pagati, i lavoratori si trovano davanti a una giungla di vincoli che rende sempre più complesso l'esercizio di un diritto costituzionale.
Non solo: mentre i lavoratori perdono una giornata di stipendio per protestare, il meccanismo delle precettazioni viene utilizzato con frequenza crescente. La stessa Commissione di garanzia, nata per garantire l'equilibrio tra diritto di sciopero e servizi essenziali, viene accusata dai sindacati di "obbedire ai diktat" politici, come denunciano i segretari Landini e Bombardieri.
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Lo sciopero generale del 29 novembre 2024 contro la manovra Meloni fotografa perfettamente come il diritto di sciopero stia subendo una progressiva erosione. Non è retorica, ma cronaca: la Commissione di garanzia ha imposto una riduzione da otto a quattro ore per il trasporto passeggeri, ha chiesto la revoca totale nel trasporto ferroviario, nella sanità e per il personale del ministero della Giustizia.
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×Quando a inizio febbraio uno studio della fondazione Gimbe ha certificato che la percentuale del Pil destinata alla spesa sanitaria totale è in calo dello 0,6%, si è scatenato un putiferio. Alcuni leader di partito della maggioranza hanno innescato attacchi diretti al presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta, e altri hanno contestato il metodo.Le percentuali sul Pil non contano, hanno spiegato dalla maggioranza. La cosmesi dei numeri della maggioranza passa dalla semplificazione utile per la propaganda: se la spesa sanitaria cresce, nessuno deve permettersi di fiatare. Francesco Zaffini, senatore di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Affari Sociali del Senato, già lo scorso ottobre l’aveva detto chiaro e tondo, rispondendo a un attacco di Giuseppe Conte: «A Conte dico che la percentuale sul Pil non conta, il 2023 è stato in crescita», disse ospite di Coffee Break su La7. L’anno prima anche il deputato di Forza Italia Ugo Cappellacci aveva parlato di una “stucchevole litania sulle cifre” perché “il problema non è la quantità di risorse”. Il ragionamento di Cappellacci era: “il 6,2 per cento della spesa sanitaria sul Pil è una misura esattamente pari a quella che era stata prevista dal governo precedente. È stata confermata con la differenza che il Pil è aumentato e quindi, in termini assoluti, anche la cifra destinata alla sanità”. Insomma, la percentuale sul Pil è una gabbia brutta, sporca e cattiva che l’opposizione usa per sabotare il governo. Da mesi ci dicono di smetterla di usare il Pil per sentirci in dovere di fare qualcosa. Basta Pil, ripetono. Fino a ieri. Da ieri le percentuali del Pil che servono per gli armamenti sono tornate a essere un argomento serissimo. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
Venticinque miliardi all’anno. Ogni anno. Per sempre. Per le armi. È il prezzo della promessa di Giorgia Meloni alla Nato: portare la spesa militare italiana al 2,5% del Pil. Un incremento che non è una tantum, ma una tassa occulta sulla collettività, pagata con il taglio al welfare, ai servizi, ai diritti. Venticinque miliardi equivalgono a una volta e mezza il budget per la disoccupazione. Sono due terzi di quanto lo Stato destina alle persone con disabilità. Superano di poco l’intera spesa per l’inclusione sociale. Ma guai a dire che questi soldi potrebbero essere usati meglio: chi contesta è un pacifista da salotto, un ingenuo che non capisce le “esigenze strategiche”. Ma quali esigenze? L’Italia non ha un piano chiaro su come impiegare questa montagna di denaro. Più armi? Più soldati? Il generale Carmine Masiello chiede un esercito da 138mila unità, 45mila in più rispetto agli attuali piani. Il governo risponde con stanziamenti ciechi, scollegati da qualsiasi reale necessità di difesa, utili solo a ingrassare l’industria bellica. Standard & Poor’s avverte: l’impatto sul deficit sarà devastante. Il moltiplicatore economico è ridicolo: per ogni euro speso in armi, lo Stato ne recupererà solo 40-50 centesimi. Ma poco importa. Il riarmo è la nuova liturgia, il totem che nessuno osa contestare. E mentre le casse pubbliche si svuotano per finanziare un esercito sempre più grande, resta la domanda scomoda: se si riempiono gli arsenali, prima o poi non verrà voglia di usarli? #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
C’è un Paese che scivola sempre più giù, ma finge di non accorgersene. Un Paese dove il divario non è solo tra ricchi e poveri, ma tra nord e sud, tra chi può e chi resta indietro. Lorenzo Ruffino ha messo in fila i numeri e il risultato è impietoso: l’Italia non è solo divisa, è anche tra i Paesi più poveri d’Europa. A Bolzano il reddito primario netto è tra i più alti del continente: 35 mila PPS. In Lombardia scende a 31,6 mila, poi ancora giù fino ai 14,6 mila della Calabria, ai 15,5 mila della Sicilia, ai 15,7 mila della Campania. Numeri da Europa dell’Est, in una nazione che si vanta di stare nel G7. Il Mezzogiorno ha un reddito comparabile a quello della Polonia, del sud della Spagna, della Grecia. Ma non basta. Perché l’Italia nel suo insieme sta scivolando nelle retrovie del continente, con salari stagnanti, crescita zero e investimenti che fuggono altrove. Il reddito medio italiano è ormai inferiore a quello della Spagna, della Francia, della Germania, persino di paesi dell’Est che fino a qualche anno fa ci guardavano dal basso. Nel resto d’Europa le grandi città trainano la crescita: Madrid per la Spagna, Parigi per la Francia, Berlino per la Germania. In Italia no. Milano è un’illusione che si guarda allo specchio, mentre il resto del Paese arranca. Il governo blinda l’autonomia differenziata, ignorando che i divari economici sono già esplosi. Il Sud è ormai un’altra nazione, con salari più bassi, servizi ridotti e prospettive che evaporano. E intanto i giovani se ne vanno, portando altrove le loro competenze, il loro futuro, il loro domani. Una nazione che si abitua alla povertà smette di combatterla. E questo, più di ogni altro numero, è il segno di un fallimento che nessuna propaganda potrà mai nascondere. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
Ieri il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha pubblicato sui suoi social un video. È Gaza, come la vorrebbe Trump. Ci sono donne affascinanti che ballano sulla spiaggia, ricchi che oziano sui lettini sotto il sole, uomini - ovviamente bianchi - che si dedicano agli aperitivi, hotel di lusso, attrezzature turistiche, soldi che piovono dal cielo, yacht parcheggiati, auto di lusso. C’è ovviamente anche Trump: lo si vede mentre balla eccitato con una danzatrice del ventre, lo si vede in un palloncino color oro tenuto in mano da bambini - ovviamente bianchi - e lo si vede nell’insegna di un pregiato palazzo. C’è ovviamente anche il suo sodale Musk, dedito al sollazzo nel meraviglioso mondo di “Trump Gaza”. C’è Netanyahu sdraiato in costume e felice in spiaggia con Trump. È lo spot di una pulizia etnica travestita da affare immobiliare. È un inno al suprematismo. Gli abitanti di Gaza nel video sono scomparsi, come nemmeno la violenza dell’esercito israeliano è ancora riuscita a fare. È male in purezza, volgarissimo male esibito con gusto. Il razzismo patinato offerto come opportunità di sviluppo ha una piega che rimanda ai peggiori autocrati della storia. È un video che lascia senza parole. E invece in questo tempo le parole vanno usate, eccome, pesate una a una, scritte senza compromessi chiamando le cose con il loro nome: il presidente americano è nemico dell’umana compassione, della razionalità sviluppata nel corso dei secoli, dell’umana empatia basilare per essere considerate bestie sociali. C’è un confine, netto, e non è quello di Gaza: chi appoggia Trump e chi sta dall’altra parte del fronte. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
Andrea Stroppa, l’uomo di Elon Musk in Italia, nei giorni scorsi ha lanciato dei sondaggi su X per bocciare, nemmeno troppo velatamente, l’operato del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Le domande poste ai suoi follower - chiamarli sondaggi, peraltro privi di valenza statistica, appare effettivamente eccessivo - tendevano a screditare l’operato del ministro dell’Interno e a rilanciare con forza l’ipotesi del ritorno di Matteo Salvini al Viminale. Ma il magnate sudafricano, che in Italia fa sentire la sua voce tramite Stroppa, è molto vicino a Giorgia Meloni, che non perde occasione per rivendicare il suo canale privilegiato. Però, attenzione, la presidente del Consiglio non ha alcuna idea di rimuovere dal suo ruolo Piantedosi per un motivo semplicissimo: se si libera la casella dell’Interno, si riapre il gioco delle nomine e, con Santanchè appesa a un filo, Nordio inviso a una parte della maggioranza, Giorgetti in guerra con il suo stesso partito e Lollobrigida campione di gaffe, la fragile architettura su cui sta in piedi la squadra di governo rischia di crollare. Quindi, chi muove Musk? È vero che Salvini non vede l’ora di lasciare il ministero delle Infrastrutture per giocare al ruolo del prefetto di ferro e logorare Meloni, ma può essere lui, da solo, a organizzare la macchinazione? In Fratelli d’Italia ne dubitano. La domanda, quindi, è sempre la stessa: chi muove Musk, qual è il disegno? C’entra forse quella parte di Fratelli d’Italia che non ha mai digerito lo scioglimento per mafia dei comuni di Anzio e Nettuno? La tela di sospetti, però, è significativa: Meloni, che si dichiara “non ricattabile”, sta in bilico su un incrocio di ricatti oscuri. Il collante è solo uno: l’amore per il potere. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
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La Sveglia di Giulio Cavalli

84%. In Germania, alle ultime elezioni, si è registrata la più alta percentuale di votanti dalla riunificazione. Nel 2021 aveva votato il 76,4% degli elettori, come nel 2017 (solo uno 0,2% in meno). Il punto più basso si è toccato nel 2009, quando sette elettori su dieci si sono recati alle urne (70,8%). Nel 2022, in Italia, alle ultime elezioni politiche ha votato il 63,91% degli elettori. È stata l’affluenza più bassa nella storia repubblicana. La prima differenza tra noi e loro sta qui: la Germania è una democrazia matura, in cui i cittadini ritengono importante esprimere il proprio voto. Una forte tradizione di partecipazione politica è sicuramente il risultato di un radicato senso del dovere civico. Poi c’è il diverso sistema elettorale. I tedeschi hanno la possibilità di scegliere un candidato diretto per il loro collegio ed esprimere una preferenza per una lista di partito a livello statale. Nessun pastrocchio di liste confezionate. Analisti e studiosi hanno spesso evidenziato come la partecipazione elettorale tedesca sia influenzata da fattori quali la fiducia nelle istituzioni, la percezione dell'efficacia del proprio voto e il senso di responsabilità civica. Certo, a Berlino c’è anche lo spauracchio dell’Afd, con il suo vento nero di estrema destra, ma la paura non può essere l’unico motore per la mobilitazione. La Germania—piaccia o no—ha l’abitudine di prendere la politica terribilmente sul serio. E la lezione è sempre la stessa: la credibilità dei partiti, di tutti i partiti, si misura nella loro capacità di alzare gli elettori dalle loro poltrone. Il resto è propaganda spiccia, rumore sui social, omeopatiche baruffe. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
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Cento giorni. Non sono numeri, sono notti insonni, sono ore che si dilatano nel vuoto di un’assenza insopportabile. Cento giorni senza una voce, senza uno sguardo, senza una certezza. Cento giorni in cui una madre si aggrappa all’unico strumento che le resta: la parola. E scrive. Scrive alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sperando che il suo essere madre prevalga sul protocollo. Scrive ai giornali, agli amici, al mondo intero, perché il silenzio non diventi complicità. Alberto Trentini non è un criminale, non è un mercenario, non è un affarista. È un operatore umanitario, un cittadino italiano trattenuto in Venezuela mentre svolgeva il suo lavoro. Eppure, l’Italia ufficiale si muove con la lentezza burocratica di chi ha sempre qualcos’altro di più urgente da fare. Le lettere restano in attesa di una risposta, le richieste diplomatiche si perdono nei corridoi di ministeri e ambasciate. E mentre la politica esita, il tempo scava ferite. “Giorgia Meloni è una madre, e lo sa”, scrive Armanda Trentini. Ma essere madre non è un titolo onorifico, è una responsabilità. E governare non significa strumentalizzare i confini, ma anche difendere chi, fuori da quei confini, incarna la parte migliore del nostro Paese. Un governo che si proclama patriottico non può abbandonare un suo cittadino, un suo figlio, in un limbo diplomatico che rischia di diventare condanna. L’appello di una madre non dovrebbe essere un grido nel deserto. Non dovremmo aspettare che diventi tragedia per accorgerci che una vita è sospesa. Ora, subito, è il momento di agire. Siamo già a cento giorni di troppo. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
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La Lega va a congresso. Chiamarlo congresso però sembra davvero un’esagerazione. Dopo anni di rinvii e giochi di potere, il 5 e 6 aprile si terrà un'assemblea che somiglia più a una liturgia di autoconservazione che a un vero momento di confronto. Il tema non ha nulla di politico: la sopravvivenza di un leader usurato, solo quello. Matteo Salvini, unico vero candidato, si appresta a blindare la sua leadership senza correre il rischio di una competizione reale. I delegati? Selezionati con cura. Il dibattito? Ridotto al minimo. La democrazia interna? Un esercizio di forma. Nel frattempo, le tensioni interne montano. I governatori del Nord, da Fedriga a Zaia, hanno passato anni a mugugnare senza mai costruire un’alternativa concreta. La spaccatura è evidente: la Lega delle Regioni si logora insieme al suo capo, incapace di liberarsi della sua ombra. E in Lombardia si combatte una guerra fratricida: il cerchio magico salviniano sabota Romeo, segretario regionale inviso a Via Bellerio. Non a caso, si vocifera di un rimpiazzo con Borghi o Marti, più fedeli alla linea del capo. Intanto Salvini gioca di sponda con lo staff comunicazione, moltiplicando gli slogan mentre il partito si svuota. Il tesseramento crolla, la base scricchiola, ma la parola d’ordine resta la stessa: restare aggrappati alla poltrona, a ogni costo. Così un partito nato per scompaginare la politica si riduce a essere parodia di se stesso, inchiodato a un leader che non può permettersi di perdere. Meloni si compiace di come gli alleati si condannino all’irrilevanza. Il congresso sarà solo un’altra prova di fedeltà al capo anche se il capo conta sempre meno. Il resto è folklore. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
Un assegno da 326 milioni e la procura di Milano archivia l’inchiesta. Google sistema i conti con il fisco italiano con un colpo di penna e un bonifico, chiudendo un’indagine che ipotizzava una "stabile organizzazione occulta" e l’omessa dichiarazione dei redditi prodotti in Italia. Una storia che suona ormai come un copione ripetuto: l’azienda giganteggia, il fisco indaga, la multinazionale paga e tutto torna a posto. Nessun processo, nessuna responsabilità, nessuna conseguenza oltre a un esborso che, rapportato ai profitti dell’azienda, sembra un dettaglio. Non è la prima volta che accade. Nel 2017 Google aveva già versato 306 milioni per chiudere un’altra vicenda simile. Netflix, Airbnb, Amazon, Meta: i giganti del digitale giocano una partita a parte, in cui l’azzardo fiscale ha un solo vero rischio, quello di dover saldare il conto senza interessi di mora. Intanto, il “Modello Milano” – la collaborazione tra procura, Agenzia delle Entrate e Guardia di finanza – ha recuperato due miliardi in tre anni, ma il punto è un altro. Non è la quantità di denaro recuperato, ma il meccanismo che si ripete: le grandi multinazionali non temono il fisco, lo contrattano. La distanza tra il piccolo imprenditore o la partita IVA che rischia la chiusura per una cartella esattoriale e il colosso che tratta a suon di centinaia di milioni è la fotografia di un sistema fiscale che non conosce equità. Per Google il pagamento è una soluzione, per gli altri un problema. Il messaggio, ancora una volta, è chiaro: la fiscalità è una variabile, non un dovere. E a chi il dovere lo rispetta, restano solo le briciole di un sistema in cui il peso fiscale si misura in base al potere, non alla legge. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
Il 2024 è stato l’anno in cui sono stati uccisi più giornalisti da quando il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha cominciato a contarli. Sono 124 giornalisti ammazzati in diciotto Paesi, con Gaza che guida la drammatica classifica con 85 operatori uccisi durante l’offensiva israeliana. I palestinesi riferiscono che gli operatori dell’informazione uccisi nel 2024 sarebbero almeno 200, tenendo conto dei cameraman, dei tecnici e di altri operatori dell’informazione. Alcuni sono stati assassinati mentre lavoravano, altri mentre si trovavano nelle loro abitazioni con le loro famiglie. “È il momento più pericoloso per un giornalista nella storia del CPJ”, avverte la presidente del CPJ Jodie Ginsberg. “Inoltre, la detenzione dei giornalisti sta raggiungendo livelli record, evidenziando i crescenti rischi per i reporter e gli operatori dei media”. Secondo il rapporto del CPJ, almeno ventiquattro giornalisti in tutto il mondo sono stati deliberatamente uccisi nel 2024 a causa dei loro reportage. Altri reporter sono stati uccisi ad Haiti, in Messico, in Pakistan, in Myanmar, in Mozambico, in India, in Iraq e in Sudan. Secondo Ginsberg, il rischio per chi fa informazione è aumentato poiché i governi operano nell’impunità e non sono tenuti a rispondere degli attacchi alla stampa. Il giornalismo è sotto attacco, non solo per le bombe e le pallottole. Il logoramento delle democrazie ha bisogno di silenzio e cecità per rompere gli argini della propaganda. Quei morti sono un attacco a chi scrive ma anche a chi legge. Forse, per rendersene conto, servirebbero i funerali collettivi, oltre ai festival. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
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Raccontano una realtà distorta sull’attentato di via Rasella. Omettono di dire che le vittime delle Fosse Ardeatine erano italiani, ebrei e antifascisti, scelti con la collaborazione della stessa polizia italiana. Da anni usano il Giorno del Ricordo come clava contro gli avversari politici, nel solco di quella che lo storico Emilio Gentile definiva la “defascistizzazione retroattiva del fascismo”. Tentano di riscrivere la storia riguardante la strage di Bologna del 2 agosto 1980; il deputato di Fratelli d'Italia, Federico Mollicone, ha definito le sentenze sulla strage come un "teorema politico" volto a colpire la destra. Al Tg1 delle 13, andato in onda domenica, è stato dato spazio a un libro che continua a sostenere la tesi della bomba a bordo come causa della tragedia di Ustica. Il Tribunale di Palermo, nella sentenza del 10 settembre 2011, ha concluso che l'incidente fu causato da un missile o da una collisione in volo, escludendo la presenza di un ordigno esplosivo a bordo. La Corte di Cassazione, il 28 gennaio 2013, ha ribadito come il DC-9 sia stato abbattuto durante un'azione militare nei cieli italiani. La presidente dell'Associazione "Parenti delle Vittime della Strage di Ustica" si dice "scandalizzata per un'operazione che, più che informazione, si dimostra propaganda”. L’egemonia culturale tanto agognata dal governo Meloni è una fitta tela di perseveranti revisionismi che spopolano nelle reti pubbliche e in Parlamento. Nelle chat di partito, il ministro Lollobrigida invitava i colleghi di Fratelli d’Italia a mantenere la calma perché, una volta al governo, avrebbero fatto emergere “la verità”. Eccola. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
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La guerra è un pessimo affare per l'Europa. Si tagliano fondi a sanità e istruzione per finanziare il settore difesa, ma il 78% della spesa in armi finisce fuori dall'Ue, il 63% negli Stati Uniti. Un'Europa che investe nelle armi senza una strategia autonoma è un'Europa che si condanna all'irrilevanza geopolitica. L'Europa ha aumentato la spesa militare del 70% in tre anni, ma resta esclusa dalle trattative tra Mosca e Washington. Già con l'accordo di Doha, gli Usa avevano negoziato senza Nato ed Europa. Ora la storia si ripete: chi finanzia la guerra non decide la pace. Si assiste a un copione già scritto: chi comanda sono coloro che hanno le risorse economiche e militari, mentre l'Europa si limita a pagare il conto e a raccogliere le macerie politiche di scelte altrui. Zelensky ha rifiutato di cedere il 50% delle risorse minerarie ucraine in cambio di un accordo con gli Stati Uniti. Per Washington la guerra è un affare, non solo una questione di sicurezza. Il modello è chiaro: chi ha le risorse controlla la narrativa della guerra e della pace. L'Europa, invece, continua a perdere e a subire decisioni senza avere la forza di proporre un'alternativa credibile. I pacifisti, bollati come ingenui, avevano ragione: la guerra è solo distruzione e profitto per pochi. Le loro voci, soffocate dal rumore della propaganda, tornano ora a farsi sentire con l'amara consapevolezza che la storia gli aveva già dato ragione. Chi li ha ridicolizzati ora chiederà scusa? Difficile. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
Il museo non è per tutti. Questo sembra suggerire l’Italia, che riesce a trasformare in un’abitudine d’élite perfino l’accesso alla cultura. Lorenzo Ruffino ci restituisce un quadro impietoso: nel 2022 solo il 18 per cento degli italiani ha visitato almeno un museo. In Francia sono il 32 per cento, in Spagna il 39. E non si può dare la colpa alla pandemia: anche nel 2015 e nel 2006 eravamo tra gli ultimi in Europa. Chi va nei musei in Italia? Giovani e laureati. Tra i 16 e i 24 anni, il 31 per cento ha visitato almeno un museo, mentre oltre i 75 anni il dato precipita al 5 per cento. Non solo: chi ha una laurea va quattro volte di più nei musei rispetto a chi si è fermato alla terza media. Ma anche i laureati italiani sono meno assidui rispetto ai colleghi francesi e spagnoli. Da noi la distanza tra chi ha studiato e chi no è un fossato incolmabile. Il problema non sono i musei. Il problema è chi ha raccontato la cultura come un peso, chi ha smantellato ogni incentivo all’educazione artistica, chi ha reso la fruizione culturale una questione di censo. La responsabilità è politica, di governi che hanno considerato la cultura un orpello, un vezzo per pochi, e non un diritto. E mentre altrove i musei investono in accessibilità, interattività e nuove forme di narrazione, qui si tagliano i fondi, si soffocano le iniziative, si accetta il declino come inevitabile. Forse il problema non sono gli italiani che non vanno nei musei, ma chi li ha convinti che non ne valga la pena. Perché una cultura che non è sostenuta, non è cultura: è un bene svenduto al miglior offerente. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
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La Sveglia di Giulio Cavalli

Due librai arrestati. Due librai, non trafficanti, non pericolosi sovversivi. Due uomini che vendono libri e diffondono pensiero. Mahmoud e Ahmad Muna, della celebre Educational Bookshop di Gerusalemme Est, sono stati arrestati dalle forze israeliane. Il motivo? Non dichiarato, come accade spesso nei territori occupati, dove la legge diventa arbitrio e la libertà una concessione revocabile a piacere. Non si tratta di un caso isolato. Colpire il sapere è un atto strategico. Chi controlla la narrazione, controlla la storia. E chi vende libri in Palestina non diffonde solo pagine, ma resistenza culturale. La libreria Muna è da anni un punto di riferimento per studiosi, attivisti e chiunque voglia comprendere cosa significa vivere in un territorio dove la sopravvivenza passa anche per la parola scritta. Colpire una libreria è un messaggio chiaro: si teme la verità che quei libri raccontano. La rete delle librerie indie del Mediterraneo ha chiesto il rilascio immediato di Mahmoud e Ahmad. Un appello che dovrebbe scuotere coscienze e istituzioni, perché la libertà di leggere è il fondamento di ogni democrazia, anche quando questa democrazia si trasforma in oppressione. Bisogna chiamare le cose con il loro nome: impedire l’accesso ai libri è una forma di repressione sistematica, un attacco all’identità di un popolo. La stessa identità che qualcuno vorrebbe sovrapporre al terrorismo per avere il diritto di distruggerla. Arrestare librai significa temere il pensiero. E temere il pensiero significa aver già perso. Ma significa anche rivelare, una volta di più, il volto di chi opprime. E il mondo dovrebbe smettere di guardare altrove. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
Daniela Santanchè è ancora in bilico, ma ormai è solo questione di tempo. Ogni tentativo di difesa suona come un ultimo, disperato colpo di teatro. La ministra del Turismo, rinviata a giudizio per falso in bilancio e sotto il peso di un'indagine per truffa aggravata ai danni dell'Inps, resta incollata alla poltrona mentre il suo stesso partito la isola, scegliendo il silenzio alla Camera per evitare imbarazzi pubblici. La mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni non ha i numeri per passare, ma il problema per Santanchè non è più la tenuta parlamentare: è la credibilità, ormai frantumata. Il processo Visibilia inizierà il 20 marzo, e l’udienza per la presunta truffa all’Inps seguirà a stretto giro. A questo si aggiunge l’indagine per bancarotta fraudolenta legata al suo impero aziendale. Un quadro che rende la sua permanenza al governo una lenta agonia politica. Fratelli d’Italia la lascia sola: nessun intervento ufficiale nella discussione alla Camera, nessun gesto di solidarietà pubblico. Giorgia Meloni mantiene il distacco, lasciando che il destino della ministra si consumi da solo. Il centrodestra temporeggia, ma la strategia del silenzio ha un limite: Santanchè non può sopravvivere all’erosione continua della sua posizione. La politica, a volte, segue la semplice regola della gravità: quando il peso delle accuse è troppo grande, la caduta diventa inevitabile. La ministra ostenta sicurezza, sorride ai microfoni, prova a rilanciare il suo ruolo elogiando i numeri del turismo. Ma la sua parabola è segnata, e il silenzio della sua stessa maggioranza suona come il rintocco funebre di una carriera che si avvia verso il tramonto. #LaSveglia per La Notizia Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support .…
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