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Episode 3: Il ciliegio in fiore

4:23
 
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È notte.

L’emozione di uno sguardo catturato nel totale silenzio. Il sorriso enfatizzato dal chiarore lunare, due birre, serenità.

Il sentiero che porta al casolare conserva ancora i segni di una strada costruita dal passaggio costante di muli da lavoro. In parallelo due linee sfiorate solo dal nostro passaggio, e dal vento.

Nel profumo estivo cerco incessante il ricordo della prima volta, a volte nitido, a volte orbo. Le notti serene nella mente, uragani nel cuore non trovano pace, eppure se ascolti ho voce, la voce dei pensieri che se lasciati alla libertà di parola, a volte fanno male.

Anche la voglia costante di amare ha bisogno di pause per respirare, come in un racconto, deve avere virgole tra i battiti del cuore.

Sotto il vecchio ciliegio, presente come ieri, il pianoforte dei ricordi. Neppure il tempo è riuscito a scalfirne gli ottantotto tasti, conservati con cura dai petali rosa del ciliegio in fiore. Il pianoforte che da ogni ottava, vibrando, ha emozionato terre e cuori. Il ciliegio, il pianista senza bow tai, che con petali di rugiada ha composto sinfonie per stelle e divinità.

Lo salutai, con la promessa che un giorno sarei ritornato con musicanti e giullari al mio seguito, per gioire insieme delle sue melodie.

Mentre mi allontanavo, lui suonava una melodia, un ricordo di quando ero ancora nel grembo materno, ascoltata più volte cantata da mia madre, una ninna nanna, la ballerina del carillon.

Lungo il cammino ho incontrato gnomi e fate, orchi e bestie, ma nessuno ha osato chiedermi di Cataleya, tranne una persona, una bambina, una dolcissima creatura con due occhioni grandi come il cielo e una meravigliosa voce angelica. Era immersa in un gioco di biglie quando passai davanti al cancello del giardino che portava a casa sua. Tra lei e il sole, io a farle un po’ d’ombra. Ero assetato, e a chiederle acqua furono le mie labbra secche, aride da ore. Si alzò e in totale silenzio mi portò una caraffa d’acqua.

Durante un viaggio, tranne per lo scenario, ci sono giorni che sembrano tremendamente uguali e altri dove basta un semplice sorriso a farlo sembrare meravigliosamente diverso.

Dopo altre due ore di cammino scorgo un casolare. Il cedimento delle gambe e il cuore in gola mi fanno presagire che all’interno non ci sia una comune famiglia. Fuori, nel giardino, sulla veranda una dondola e sopra di essa non una semplice fanciulla. Cataleya, immersa, e persa con lo sguardo oltre le colline.

Immobile, sorride e con lo sguardo sempre fisso pronuncia il mio nome.

Lei vestita di seta turchese, il suo violino bianco e quanto intorno non hanno nulla da invidiare alle sette terre. Ogni nota ha il suono di mille angeli che cantano nel firmamento. Nulla al mondo è più dolce di quanto stavo ascoltando. Una nuova melodia da poter portare con me nella mia terra di Sol.

La musica termina e quello che resta in me è un senso di pace per i sensi e l’anima.

Al ciliegio, mio carissimo e vecchio amico d’infanzia. Perdonami! vecchio mio, se non manterrò la promessa data, ma a volte la libertà sta proprio nel sottrarsi dalla scelta prescritta.

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Il sentiero che porta al casolare conserva ancora i segni di una strada costruita dal passaggio costante di muli da lavoro. In parallelo due linee sfiorate solo dal nostro passaggio, e dal vento.

Nel profumo estivo cerco incessante il ricordo della prima volta, a volte nitido, a volte orbo. Le notti serene nella mente, uragani nel cuore non trovano pace, eppure se ascolti ho voce, la voce dei pensieri che se lasciati alla libertà di parola, a volte fanno male.

Anche la voglia costante di amare ha bisogno di pause per respirare, come in un racconto, deve avere virgole tra i battiti del cuore.

Sotto il vecchio ciliegio, presente come ieri, il pianoforte dei ricordi. Neppure il tempo è riuscito a scalfirne gli ottantotto tasti, conservati con cura dai petali rosa del ciliegio in fiore. Il pianoforte che da ogni ottava, vibrando, ha emozionato terre e cuori. Il ciliegio, il pianista senza bow tai, che con petali di rugiada ha composto sinfonie per stelle e divinità.

Lo salutai, con la promessa che un giorno sarei ritornato con musicanti e giullari al mio seguito, per gioire insieme delle sue melodie.

Mentre mi allontanavo, lui suonava una melodia, un ricordo di quando ero ancora nel grembo materno, ascoltata più volte cantata da mia madre, una ninna nanna, la ballerina del carillon.

Lungo il cammino ho incontrato gnomi e fate, orchi e bestie, ma nessuno ha osato chiedermi di Cataleya, tranne una persona, una bambina, una dolcissima creatura con due occhioni grandi come il cielo e una meravigliosa voce angelica. Era immersa in un gioco di biglie quando passai davanti al cancello del giardino che portava a casa sua. Tra lei e il sole, io a farle un po’ d’ombra. Ero assetato, e a chiederle acqua furono le mie labbra secche, aride da ore. Si alzò e in totale silenzio mi portò una caraffa d’acqua.

Durante un viaggio, tranne per lo scenario, ci sono giorni che sembrano tremendamente uguali e altri dove basta un semplice sorriso a farlo sembrare meravigliosamente diverso.

Dopo altre due ore di cammino scorgo un casolare. Il cedimento delle gambe e il cuore in gola mi fanno presagire che all’interno non ci sia una comune famiglia. Fuori, nel giardino, sulla veranda una dondola e sopra di essa non una semplice fanciulla. Cataleya, immersa, e persa con lo sguardo oltre le colline.

Immobile, sorride e con lo sguardo sempre fisso pronuncia il mio nome.

Lei vestita di seta turchese, il suo violino bianco e quanto intorno non hanno nulla da invidiare alle sette terre. Ogni nota ha il suono di mille angeli che cantano nel firmamento. Nulla al mondo è più dolce di quanto stavo ascoltando. Una nuova melodia da poter portare con me nella mia terra di Sol.

La musica termina e quello che resta in me è un senso di pace per i sensi e l’anima.

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